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VALORE AUTENTICO O WASHING?

A cura di Joshua Paveri
18 Ott 2024

Ecco il testo formattato come richiesto:

Oggi sempre più aziende, accanto a mission e vision, si dotano del cd. purpose.

Trattasi dello scopo, della ragion d’essere, del motivo che spinge un brand a intraprendere determinate scelte e che, nella maggior parte dei casi, si traduce in dichiarazioni di responsabilità in ambito sociale sulle quali viene poi costruito non solo il business model, ma vengono anche declinate la comunicazione, le scelte di marketing e il sistema valoriale dell’impresa stessa. In questo modo, grazie al purpose, il brand orienta anche il target a cui vuole riferirsi e raggiungerlo con il proprio prodotto o servizio.

Qui, almeno per quanto mi riguarda, sorge spontanea una domanda: è sempre vero che tutte le dichiarazioni di responsabilità corrispondono poi ad un reale senso valoriale dell’azienda, oppure si tratta di mere scelte di marketing?

Rispondere a questa domanda non è certo facile. È tuttavia opportuno porsela, proprio perché spesso le tematiche (e le relative dichiarazioni) comportano un impatto diretto non solo sull’immagine dell’azienda ma anche sul mindset presente al suo interno e che si riflette su tutte le persone che la costituiscono.

Sono fermamente convinto che le aziende, soprattutto quelle di grandi dimensioni, abbiano in qualche modo il “dovere morale” di far da traino e quindi lavorare sempre di più a un sistema valoriale che possa, da un lato contraddistinguerle sul mercato, e dall’altro mettere in atto azioni concrete affinché le persone che compongono l’azienda stessa possano, nel lavoro così come nella loro vita, avere la possibilità di essere loro stesse degli esempi. In modo da creare un sistema virtuoso e sempre più diffuso di conoscenza e magari condivisione su determinate tematiche e scelte (etiche), ed essere quindi un esempio “concreto” sia in rapporto ad altri brand, ma anche nel proprio quotidiano.

Fino a qui sembra tutto davvero molto lineare, logico e positivo… Ma, come detto, il rischio è dietro l’angolo: fare washing!

Sì, perché se le scelte e le posizioni dichiarate non corrispondono poi a un reale impegno quotidiano, ad un imprinting radicato in azienda, si finisce per fare un’azione di marketing per “cavalcare” l’onda senza però generare nulla di valoriale.

Vi starete chiedendo: “ok, ma… di fatto quali sono le scelte e le tematiche di cui parli?”

Possono essere davvero tante. Qui mi limito a riportare solo alcuni esempi: empowerment femminile, gender pay gap o sostegno alla comunità LGBTQIA+.

Quest’ultimo è forse uno dei temi che - come ognunə di noi ha avuto modo di constatare - negli ultimi anni, ha visto una crescita esponenziale… sempre più aziende, soprattutto nel corso del Pride Month, colorano il proprio logo con la bandiera arcobaleno, fanno dichiarazioni a sostegno della comunità LGBTQIA+, affermano che all’interno della propria azienda c’è una piena e reale integrazione e, supportano, sostengono e partecipano alle parate del Pride nelle diverse città. Ci sono poi alcune di queste che realizzano e creano anche delle vere e proprie collezioni di prodotti ad hoc.

Una prova del fatto che non tutti i brand fanno davvero brand activism è però dimostrata dal fatto che, nei mesi scorsi, ha fatto non poco clamore la scelta di una catena di supermercati statunitense che, dopo aver ricevuto parecchie critiche circa la propria collezione lanciata in occasione del Pride Month, ha deciso di ritirarla dal mercato.

Allo stesso tempo, altri competitor, convinti e forti della scelta fatta, non hanno invece avuto timore nel mantenere la propria strategia nel perseguire un valore e il relativo ideale.

Ecco, questi due esempi ci fanno capire abbastanza bene la grandissima differenza in merito a cosa sta dietro al purpose: il washing (primo caso), ove l’azienda decide di fare una mera azione di marketing e, nel momento in cui si rende conto di non aver raggiunto il valore atteso di vendita, preferisce fare non uno, ma mille passi indietro e ritirare la collezione.

Nel secondo caso, invece, l’azienda sposa in toto i valori, la causa e gli ideali che li hanno spinti a monte a posizionarsi sul mercato come una realtà che crede nei valori dichiarati e nelle cause che supporta, rendendo così reale il brand activism senza tenere conto di nessun altro fattore esterno.

Quest’ultimo esempio è perfettamente calzante con il pensiero che le grandi realtà hanno la possibilità e il dovere morale – a mio parere – di essere promotrici di un cambiamento e, come ogni cambiamento, necessita di tempo e non può essere accomodante per tutti e per tutte.

Se, però, si è certə e convintə di andare nella giusta direzione, a volte è necessario essere impopolari; arriverà il giorno in cui il cambiamento arriverà ed è lì che i purpose che inizialmente potevano sembrare impopolari, diventeranno pionieri.

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