Valentina Petrillo: «Io atleta trans e ipovedente, di corsa verso l’inclusione»

A cura di Antonella Patete
19 Mar 2025

Dal 2020 gareggia nella categoria femminile e nel 2024 è stata la prima atleta trans a partecipare ai Giochi Paralimpici, segnando un momento storico per il mondo dello sport e dell’atletica. E ora ha deciso di raccontare la sua storia nel volume Più veloce del tempo.

Per lei l’atletica rappresenta da sempre la salvezza. E la pista il luogo dove trovare la rivalsa e il riscatto di una vita. Velocista transgender e ipovedente, Valentina Petrillo dal 2020 gareggia nella categoria femminile e lo scorso anno a Parigi è stata la prima atleta trans a partecipare ai Giochi Paralimpici, segnando un momento storico per il mondo dello sport. E ora la sua storia è raccontata nel volume Più veloce del tempo. Il viaggio della prima atleta transgender verso la felicità, scritto insieme a Claudio Arrigoni e Ilaria Leccardi per la casa editrice Capovolte. 

Valentina, perché ha deciso di condividere la sua storia, anche quella più intima?

Scrivere mi è sempre piaciuto e così, quando Capovolte mi ha contattata per propormi di pubblicare la mia autobiografia, ho accettato con entusiasmo. Ma riprendendo in mano gli appunti buttati giù nel corso degli anni mi sono resa conto che c’era un problema: avevo sempre parlato di me stessa in terza persona, come se Valentina non fossi davvero io.
Perciò sono ripartita da capo e per tutto lo scorso anno ho proceduto a ritmo serrato, dedicando intere giornate alla scrittura.
Il 2024 è stato anche l’anno dei Giochi di Parigi e trovare il tempo per scrivere tra allenamenti, lavoro e vita familiare non è stato facile. Alla fine è stato un viaggio alla ricerca di me stessa, che mi ha costretta a riaprire ferite che credevo si fossero rimarginate.

Il libro si chiude con le Paralimpiadi di Parigi. È stata più forte la gioia per aver realizzato il suo sogno di atleta o il dispiacere per la medaglia mancata?

All’inizio, accettare l’idea di non essere salita sul podio è stato difficile. Ma una volta tornata in Italia ho capito che la medaglia più preziosa non era quella di metallo che sognavo di mettermi al collo, bensì il rispetto che avevo conquistato sia come atleta che come persona. Parigi ha rappresentato un punto di arrivo per me, ma anche un punto di partenza per il mondo LGBT+ e quello della disabilità.

In tantə sostenevano l’assoluto vantaggio in gara di un’atleta transgender. Cosa direbbe ora a quelle persone?

Vincere sarebbe stato bellissimo, ma non me l’avrebbero perdonato. Mentre non aver conquistato una medaglia dimostra, se ce fosse ancora bisogno, che le atlete trans non sono avvantaggiate. Recenti studi commissionati dal Comitato Olimpico Internazionale confermano l’inesistenza di ogni vantaggio biologico e anzi indicano uno svantaggio da parte delle persone transgender. D’altra parte, ancora oggi non esistono atlete trans che abbiano conquistato titoli mondiali.

Sta dicendo che il mondo dello sport dovrebbe fare dei passi avanti lungo la strada dell’inclusione?

No, sto dicendo solo che non esiste una posizione unica nello sport e che il mondo paralimpico è più avanti di quello olimpico nell’inclusione delle atlete trans. Nel 2015 le linee guida del CIO hanno stabilito la necessità di mantenere per un anno un livello di testosterone non superiore a 10 nanomoli al litro, in luogo della riassegnazione chirurgica del sesso e due anni di terapia ormonale. Tuttavia sono le Federazioni internazionali a stabilire le proprie politiche e, nel tempo, World Athletics ha imposto varie restrizioni, dall’aumento delle soglie ormonali fino all’inizio del percorso di transizione prima dei 12 anni di età, impedendo nei fatti la partecipazione delle atlete transgender. Al contrario il World Para Athletics si è allineato alle indicazioni del CIO, che recentemente ha abolito i controlli ormonali, permettendo alle atlete di gareggiare nel proprio genere di elezione.

Nella sua vita che ruolo ha avuto lo sport?

Quando dico che lo sport mi ha salvato la vita, non esagero. Da persona con disabilità mi ha aiutata a integrarmi pienamente nella società e, successivamente, quando nel 2019 ho intrapreso il percorso di transizione, è diventato il mio strumento di rivalsa nei confronti di un mondo che tende a farti sentire invisibile. Certo, passare da Fabrizio che correva nelle categorie maschili a Valentina che voleva gareggiare con il suo sesso di elezione non è stato semplice, a cominciare dalla battaglia per l’accesso ai bagni e agli spogliatoi femminili. Fortunatamente dopo Parigi è cambiato tutto. Essere transgender non dovrebbe essere una colpa né tantomeno un motivo di discriminazione, ma oggi sono finalmente riconosciuta come un’atleta e posso rappresentare per altre quell’esempio che a me è mancato durante l’adolescenza.

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