
Una vita da mediana
L’ho fatto, ho cronometrato la mia lettura di Addio al calcio, particolare autobiografia del poeta, scrittore, docente, giornalista ed ex promessa dilettantistica Valerio Magrelli: novanta minuti di lettura, un minuto per ogni capitolo, con una pausa autoimposta di un quarto d’ora tra primo e secondo tempo. Quello che è emerso dalla lettura è un gioco del calcio lontano dalle immagini epiche del grande sport raccontato dalla televisione, bensì una dimensione metaforica che racconta esperienze di vita, una riflessione sull’infanzia e sul rapporto viscerale con il pallone, simbolo di sogni perduti; un addio necessario, ma celebrato con ogni piccolo dettaglio sensoriale, tanto che, sebbene il volume sia molto breve, la lettura non è così immediata, perché lo stile dell’autore è impregnato di poesia.
Questo andamento lirico in accostamento al mondo sportivo, spesso bistrattato dalla tradizione letteraria che da sempre sente la necessità di separare l’io interiore dalla fisicità e dall’azione, non può che richiamare alla mente le cinque poesie sul gioco del calcio di Umberto Saba, che hanno donato un sospiro di sollievo a generazioni di studenti e che rappresentano un tentativo ben riuscito di colmare il conflitto tra letteratura e sport. Squadra paesana, Goal, Tredicesima partita, Fanciulli allo stadio e Tre momenti, contenute nella raccolta Poesie del 1945, ci mostrano come un uso sapiente della metafora e del linguaggio simbolico possa generare sia il miracolo della bellezza e della potenza del gioco, sia una struggente malinconia che nasce dalla consapevolezza che il calcio, come la vita, porta con sé gioia, ma anche dolore.
Un aspetto interessante, però, emerge osservando il lavoro di Magrelli e le poesie di Saba: l’assenza totale della figura femminile. Consapevole che non l’avrei trovata in Saba, ho cercato in ogni pagina di Magrelli almeno l’ombra di una giocatrice, spettatrice o anche solo una semplice appassionata. Questo silenzio letterario rispecchia la realtà del Novecento, quando il calcio femminile era relegato ai margini. Tuttavia, questa assenza oggi suona anacronistica, considerando quanto questo sport abbia acquisito visibilità e partecipazione da giocatrici, tifose e arbitre.
Riconoscere questa mancanza non significa sminuire il valore poetico delle opere in oggetto, ma invita a riflettere su quanto la letteratura debba ancora fare per rappresentare in modo più inclusivo il mondo dello sport. A questo proposito voglio rammentare il geniale romanzo in versi Ladies football club di Stefano Massini e il suo sorprendente adattamento teatrale, nel quale si ripercorre la storia di uno dei primi club di calcio femminile, nato in una fabbrica di munizioni inglese durante la Prima Guerra Mondiale.
Le parole hanno il potere di creare immaginari e rompere barriere. Forse, una nuova generazione di poeti e poetesse saprà colmare questo vuoto, nel frattempo come per aggiungere un tempo supplementare al romanzo di Magrelli, vi lascio menzionando quella stagione in cui ho arbitrato i Giovanissimi nelle valli bergamasche, la partita alunni vs professori disputata in una scuola superiore fiorentina in cui da docenti siamo stati stracciati 6-0 o anche di quella signora anziana che usciva di casa nella piazza di un paesino vicino all’Abetone e ci rubava il pallone perché aveva paura le rovinassimo i fiori. Perché, insomma, poi nella vita ho sempre preso lezioni di danza, ma non mi sono mai rifiutata di fare due tiri a pallone.