
Un mondo diverso è possibile, Parola di corvi
Intervista all’attrice Marta Cuscunà, a teatro con lo spettacolo Corvidae. Sguardi di specie
Come nasce questo spettacolo?
Il mio percorso all’interno delle tematiche eco-femministe, in realtà, è precedente. Lo spettacolo Earthboud è stato la prima occasione per inoltrarmi in questi filoni, che poi ho avuto modo di approfondire in Corvidae e nella tappa intermedia televisiva. Marco Paolini e Telmo Pievani, infatti, mi avevano chiesto di scrivere per La Fabbrica del Mondo di Rai 3 degli episodi nei quali alcuni corvi ragionavano sulla crisi climatica. Abbiamo poi deciso recuperarli, scriverne altri e portarli in teatro con uno spettacolo che mantiene il format televisivo ma incontra il pubblico in diretta.
I corvi che porta in scena sono molto particolari.
La figura del corvo ha un immaginario molto vasto, tendenzialmente negativo. Nello spettacolo il cortocircuito è che proprio loro presentano riflessioni e comportamenti quasi più umani dei nostri come specie. I miei corvi sono delle macchine totalmente analogiche, manuali, nonostante lo spettacolo immagini il futuro. Anche le voci non vengono fatte attraverso distorsioni artificiali ma sono date dalla vocalità umana, nelle sue varianti più inaspettate. Sono stati ideati e costruiti dalla scenografa Paola Villani. Ha applicato al teatro una componentistica che arriva dalla vita quotidiana: il movimento dei corvi avviene infatti attraverso cavi di freni di tandem.
Resta un po’ di speranza?
Gli approcci eco-femministi, e in particolare quello di Donna Haraway, che è la mia fonte d’ispirazione principale, propongono di utilizzare la narrazione delle storie, in particolare quella delle storie di fantascienza, come possibile cura al senso di sconforto. Lei afferma che le storie di fantascienza sono un ottimo allenamento per esercitarsi a immaginare dei futuri possibili nei quali l’essere umano – la nostra specie – riuscirà a vivere nella complessità della situazione. Il punto, come ricorda il suo saggio Staying with the Trouble, è non scegliere utopie completamente slegate dai problemi e dalle urgenze che stiamo affrontando. In questo saggio lei inserisce un capitolo in cui immagina delle possibili alleanze tra la nostra specie e le altre specie per risanare il Pianeta. L’ispirazione per Corvidae nasce da questo approccio e dall’idea che forse anche tutto questo senso di sconforto è frutto della convinzione che l’Antropocene dipenda sempre e solo da noi. In realtà non siamo soli su questo Pianeta, anche se abbiamo inciso molto drasticamente sulle sue dinamiche. Tutto, in questo mondo, è fatto per collaborare alla sopravvivenza.
Un barlume sembra arrivare anche dalle nuove generazioni.
Sì, sono mosse da un desiderio fortissimo di futuro, che noi forse abbiamo dimenticato. Anche perché siamo più concentratə a non perdere le comodità piuttosto che a immaginare quello che lasceremo. Le nuove generazioni hanno la stessa spinta di quelle che nel corso della Storia hanno fatto le grandi rivoluzioni. Purtroppo il movimento Fridays For Future è stato ammazzato – passami il termine – dalla pandemia, da una politica e da un’opinione pubblica che hanno fatto di tutto per affossare le loro richieste. Le persone giovani dovranno faticare per riuscire a farsi largo tra questi poteri vecchi e conservatori, che sono avvinghiati alle poltrone e che colgono qualsiasi pretesto per non cambiare paradigma. Stiamo rendendo la loro vita molto difficile.
In questo scenario cosa può e deve fare l’arte?
Ho sempre pensato che il teatro fosse uno strumento per la collettività, per agire sulla realtà circostante. È quel momento in cui una comunità si ritrova nello stesso luogo, a condividere un’ora di esperienza artistica che può essere emozionante, riflessiva o divertente ma che ha sempre il fine ultimo di portare quella comunità a chiedersi chi vuole essere. Spero che il pubblico, uscendo da Corvidae, si senta parte di un sistema complesso ma multispecie. E con in tasca un senso di possibilità. I temi vengono affrontati non con l’idea di puntarci il dito addosso e ricordarci i danni che abbiamo combinato, ma con quella di caricarci per questa azione collettiva, forse la più grande a cui il genere umano è mai stato chiamato. Il teatro di figura usa delle immagini poetiche che si allontanano dalla quotidianità più deprimente e ci aiuta a immaginare futuri diversi. Immaginare forse è il primo passo per cominciare a creare qualcosa di nuovo. Il teatro e l’arte sono quindi strumenti per vivere meglio, al pari dell’attivismo, della scuola o della sanità.