
SPORT E IDENTITA': la sfida contemporanea delle atlete transgender
«Basta uomini negli sport femminili». Con questo tono lapidario il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, tra i tanti ordini esecutivi nelle scorse settimane ne ha firmato uno che mira ad impedire la partecipazione di donne e ragazze transgender (biologicamente assegnate come maschi alla nascita) alle competizioni sportive femminili scolastiche e di college.
L’ordine, denominato Keeping Men Out of Women’s Sport, in particolare vieterà ad atlete transgender di entrare negli Stati Uniti per competere con le donne alle Olimpiadi del 2028 a Los Angeles. «Difenderemo le atlete e non permetteremo agli uomini di colpire, far male e imbrogliare donne e ragazze. Da oggi, gli sport femminili saranno solo per donne» ha dichiarato deciso Donald Trump.
Nel corso degli anni, il dibattito sulle atlete transgender ha assunto diverse sfumature e un’importanza crescente non solo a livello internazionale, ma anche in Italia (ne è un chiaro esempio il caso di Imane Khelif, la pugile algerina che ha trionfato alle Olimpiadi di Parigi 2023). Negli anni ‘90, il tema era poco discusso e spesso ignorato dai media. Con l’aumento della visibilità delle questioni LGBTQ+, il dibattito è diventato più prominente. L’introduzione di politiche più inclusive da parte di alcune federazioni sportive ha suscitato reazioni contrastanti, evidenziando un divario tra il progresso dei diritti civili e le percezioni tradizionali dello sport. Questo divario si manifesta in discussioni accese sui criteri di partecipazione alle competizioni sportive e sull’equità competitiva, con argomenti che spaziano dall’equilibrio nei giochi, alla protezione delle categorie tradizionalmente associate al femminile.
La decisione di Donald Trump ha recentemente riacceso dibattiti intensi e polarizzati. Tuttavia, la sua decisione sembra rispecchiare una tendenza più ampia e globale. Un sondaggio Ipsos, condotto l’anno scorso in 28 paesi (tra cui l’Italia), ha esaminato il supporto per le atlete transgender che competono in base alla loro identità di genere, anziché al loro sesso biologico. In generale, a livello globale l’analisi Ipsos fa registrare un sostegno che si attesta al 27% (le persone contrarie sono il 40%, il restante non esprime una posizione), in calo di 5 punti percentuali rispetto alla stessa rilevazione del 2021.
A livello internazionale, la diminuzione è particolarmente marcata in Paesi come Argentina e Spagna, con un calo rispettivamente di 18 e 13 punti percentuali. Al contrario, la Thailandia emerge come l’unico Paese con una maggioranza (53%) a favore delle atlete transgender che competono secondo la loro identità di genere. Stati Uniti e Regno Unito registrano posizioni più rigide e oltranziste, con un’opposizione rispettivamente del 52% e del 54% e un calo del consenso del 6% e del 5% rispetto alla rilevazione del 2021, segnalando una crescente resistenza in alcune delle principali democrazie occidentali.
In Italia, il sostegno è pari al 36% (le persone contrarie sono il 30%, il restante non esprime una posizione), in linea con paesi come Spagna e Brasile, e superiore a Francia e Germania; inoltre, l’Italia è l’unico paese europeo (insieme alla Polonia) dove si registra un aumento delle persone favorevoli (+2%) rispetto al 2021. L’Italia dimostra così una certa apertura, che può essere spiegata anche alla luce delle tante discussioni in atto su come lo sport possa essere un veicolo di inclusione e rappresentanza.
Come mostrato nell’analisi Ipsos, il dibattito sulle atlete transgender è complesso e in continua evoluzione, influenzato da fattori culturali, politici e sociali, spesso intrecciati con questioni di diritti civili, identità di genere e tradizioni sportive. Mentre alcune nazioni si muovono verso un’inclusione maggiore, altre rimangono ancorate a visioni più conservative. Come evolverà questa questione in futuro dipenderà da come le società bilanceranno i diritti individuali, con le tradizioni (non solo sportive) consolidate.