
SIMONE BARLAAM, l’arte di vincere in vasca e nella vita
Come la tua nascita e il nuoto sono legati? Come si sono incontrati?
In un modo abbastanza naturale. Sono nato con una coxa vara e una ipoplasia congenita del femore destro. L’acqua è sempre stata una componente importante. Lo è in generale, dal punto di vista della riabilitazione, per le persone con disabilità. Ti permette di fare movimenti che sulla terraferma sono più faticosi e rischiosi. Mi è sempre piaciuto stare in acqua. Anche da piccolo, lì mi sentivo aggraziato laddove sulla terra, invece, mi sentivo goffo.
Tanti bambini, adolescenti ma anche adulti, a causa di una disabilità, purtroppo non hanno ancora trovato la loro strada e il loro spazio nel mondo. Quanto lo sport può aiutare? Quanto può abbattere barriere fisiche ma anche mentali?
Penso che lo sport sia un forte mezzo di inclusione sociale. E non lo dico solo per riempirmi la bocca con belle parole, come fanno tutti e come dovrei fare da sportivo. Lo credo davvero. Soprattutto quando si è piccoli, lo sport ti porta a credere nei tuoi mezzi. Ti spinge a mostrarti, anche perché lì è più difficile nascondere la tua disabilità. Nel caso del nuoto, ad esempio, sei quasi completamente messo a nudo. La sicurezza e la consapevolezza, che acquisisci in quel contesto, poi si riversano anche nel rapporto col prossimo, nella scuola, nel lavoro. Dallo sport, che può sembrare una cosa fine a se stessa, si innesca un meccanismo virtuoso che giova anche alla nostra società.
Per tutti, ma ancor più per bambine, bambini e adolescenti, i modelli sono importanti. Tu hai avuto e hai degli esempi positivi? Cosa provi a esserlo divenuto a tua volta?
Nella mia famiglia ho tantissimi modelli positivi: mia mamma, mio papà, mia sorella. Sono stati per me fonte di grandissima ispirazione. Ma penso anche agli allenatori che ho avuto, a tutti gli atleti che ho incontrato quando mi sono affacciato a questo mondo. Ero piccolino e non pensavo che le persone con disabilità potessero compiere imprese così fantastiche, incredibili. Ho cercato di prendere qualcosa da ognuno di loro. Quanto a me, provo solo a essere me stesso. A veicolare i messaggi che mi hanno fatto arrivare dove sono e a essere la persona che sono oggi. Se poi sono un esempio positivo, sta agli altri valutarlo, però è un grandissimo onere e onore. Oltre a fare bene dal punto di vista delle performance sportive, devo anche stare attento a come mi pongo rispetto al mondo esterno, a cosa dico. Ci sono delle responsabilità.
Fino a qualche anno fa le atlete e gli atleti paralimpici erano considerati, e lo dico a malincuore, un po’ di “serie B”. Fortunatamente le cose stanno cambiando. Anche il racconto delle vostre imprese assume ormai un punto di vista agonistico, con un valore sportivo. Condividi questo mio pensiero?
Sì, anche se non si guarda ancora lo sport paralimpico con l’attenzione agonistica che mi piacerebbe vedere. Vorrei ancora più tecnicismo. Però abbiamo fatto dei grandissimi passi avanti. L’attenzione è imparagonabile rispetto a qualche anno fa. Per Parigi, la scorsa estate, è stato venduto il più alto numero di biglietti mai registrato per le Paralimpiadi. C’è stata tantissima attenzione mediatica. Rai 2 l’ha trasmessa nella sua interezza, per la prima volta nella storia del nostro Paese. È inevitabile dire che c’è un’attenzione maggiore e che al pubblico piace anche vedere lo sport paralimpico.
Cosa invece deve essere migliorato?
Servirebbero figure giovani, interessate a lavorare in questo mondo, non solo dal punto di vista atletico ma proprio dirigenziale, amministrativo, della comunicazione. Sarebbero necessari giovani volenterosi che vogliano contribuire a una causa così nobile e gratificante. E poi bisogna parlarne, farci vedere, aiutare le società di base. Per me è stata fondamentale la Polha Varese, dove nascono e crescono molti campioni del futuro. È importante anche il contributo dei gruppi sportivi militari. Nel mio caso si tratta delle Fiamme Oro. Ci stanno aiutando e mettendo sullo stesso piano dei nostri colleghi olimpici.
Dopo 45 medaglie internazionali, di cui 35 d’oro, cosa ti resta (e lo dico con un sorriso) da vincere?
Non mi chiedo mai cosa mi resta da vincere. Mi concentro sempre sulla mia performance individuale. Spesso porta medaglie e vittorie, ma quello non dipende solo da me. Ci sono sempre tanti fattori fuori dal mio controllo. Penso ancora di potermi migliorare, di avere ancora delle cose da dire in questo campo. Non mi sento arrivato. Quindi continuerò a spingere, a macinare chilometri d’acqua. Se poi arrivassero altri risultati importanti, saranno i benvenuti.
Sei un campione anche con la matita. Questa passione ti ha portato a essere, diciamo, protagonista in vista di Milano Cortina 2026 e ti porterà a disegnare un fumetto di avvicinamento…
È un’esperienza bellissima e per me è un modo molto curioso di vedere un grande evento sportivo da un punto di vista diverso, più interno. Non so ancora quale sarà il mio compito e i dettagli, è ancora presto. Posso però raccontare come è nata la mia passione per il disegno. Ero piccolo. Ero bloccato nel letto dell’ospedale e ingessato dal petto in giù. Quando giocavo ai videogiochi mi salivano troppo i battiti, facevo partire gli allarmi in tutto il reparto e gli infermieri non gradivano (ride, ndr). Quindi ho trovato questo hobby molto più tranquillo e da allora ho sempre disegnato. È un modo per evadere dalla quotidianità, per estraniarmi, per mettere su carta tutto quello che ho in testa.
Dall’acqua fino alle passerelle come modello per Emporio Armani, per il quale sei ambassador: sembri sempre a tuo agio, perfetto in ogni ruolo. Come ci riesci? C’è invece qualcosa che ti fa paura?
Non saprei dirti perché e come avviene, è una cosa molto innata. Ho faticato per avere questi, diciamo, “privilegi” e provare queste esperienze bellissime, quindi le vivo con serenità. Poi ovviamente anch’io ho le mie paure. Credo però sia importante sapere gestire determinati momenti e ansie. È necessario conoscere i propri punti forti e deboli.
Cosa ti aspetta nel 2025?
Ci saranno i Mondiali a Singapore, a settembre. Fuori dalla vasca, invece, ci sono parecchi progetti ai quali stiamo lavorando, che mi vedono in ruoli diversi. Anticipo solo che c’è una cosa che ho sognato per molto tempo, che mi vede protagonista e che dovrebbe uscire entro la fine dell’anno.
Cosa sogna oggi Simone? Come si vede nei prossimi anni?
Mi vedo sicuramente in acqua. Ora come ora, più che sogni, ho pensieri. Sono quelli che un ragazzo di 24 anni di oggi può avere. Ci sono aspirazioni ma anche preoccupazioni. Ho tanti pensieri su un futuro ancora un po’ incerto, ma sicuramente molto intrigante.