SERVE UN ATTIVISMO CONCRETO
QUALE È STATO IL TUO PERCORSO? SEI PASSATA DAL FARE ATTIVISMO FUORI AL FARLO ALL’INTERNO DELLE AZIENDE. COSA CAMBIA?
Il mio percorso professionale nel campo della DE&I si radica in un mix di: studi economici, formazione professionale in contenuti, comunicazione e interesse all’attivismo per i diritti umani inteso come reazione all’ingiustizia, alla violenza o alla discriminazione in ogni contesto.
Prima di diventare una competenza, l’interesse per questi temi nasce, come per moltɜ colleghɜ, dall’appartenenza a gruppi marginalizzati intersezionali. Sono nata in Italia e uno dei miei genitori è brasiliano, una combinazione di origine indigena e afrodiasporica e ho una disabilità invisibile.
Come tuttɜ sono cresciuta in una società patriarcale, razzista, xenofoba, omobitransfobica, classista, ageista e abilista. Per trovare e affermare la mia identità, ho dovuto disimparare tutto questo, decostruendo archetipi, mettendo in discussione certezze e decolonizzando il mio sguardo. Ho esplorato ferite generazionali profonde e ho imparato ad ascoltare le esperienze di altre persone attraverso film, libri, podcast e dibattiti. Durante questo percorso, ho perso alcune persone e ne ho trovate altre che mi hanno accompagnata. Sono felice di raccontare la mia storia a modo mio, rifiutando le narrazioni imposte dalla società, ma questo è solo il mio percorso. Non intendo rappresentare tutte le persone di etnia mista o con una malattia invisibile, perché ognunǝ ha tempi, possibilità e condizioni diverse.
LE AZIENDE, SECONDO TE, HANNO IL DOVERE DI FARE ATTIVISMO? QUALCUNƎ AFFERMA CHE L’INCLUSIVITÀ SI È TRASFORMATA IN CANCEL CULTURE E IDEOLOGIA WOKE.
Le aziende, a mio avviso, hanno una responsabilità che va oltre il semplice fare profitto. Viviamo in una società interconnessa, in cui i consumatori e le consumatrici, i/le dipendenti e le comunità si aspettano che le imprese prendano posizione su questioni sociali e ambientali. Pertanto, credo che le aziende abbiano il dovere di fare attivismo, ma questo attivismo deve essere genuino, basato su valori e pratiche concrete, piuttosto che un semplice tentativo di cavalcare l’onda di un trend.
Il concetto di inclusività è spesso distorto e politicizzato, soprattutto in relazione al fenomeno della “cancel culture” e all’uso del termine “woke”. Da una parte, inclusività significa creare spazi e accesso alle opportunità per tuttɜ, indipendentemente da razza, genere, orientamento sessuale, abilità, ecc., ed è un principio che dovrebbe essere alla base di ogni organizzazione sana e giusta. Dall’altra parte, ci sono coloro che percepiscono questa spinta verso l’inclusività come un’imposizione ideologica o come un attacco alla libertà di espressione.
Il termine “woke”, che originariamente si riferiva a una coscienza e una vigilanza contro le ingiustizie sociali, è diventato un termine polarizzante, spesso utilizzato in modo peggiorativo per descrivere atteggiamenti o azioni percepite come eccessivamente correttive o moraliste. Credo che ci sia bisogno di equilibrio: promuovere l’inclusività è fondamentale, ma è altrettanto importante evitare di cadere in estremismi che possono alimentare divisioni o innescare reazioni di rifiuto.
In sintesi, le aziende devono fare la loro parte per promuovere un cambiamento positivo nella società, ma devono farlo con autenticità e rispetto, senza cadere in slogan vuoti o atteggiamenti che possano sembrare forzati. E riguardo all’inclusività, è cruciale non perdere di vista il dialogo e la comprensione reciproca, piuttosto che alimentare ulteriori conflitti.
ALLE IMPRESE CONVIENE SCHIERARSI? COSA GUADAGNANO E COSA RISCHIANO DI PERDERE?
Non userei il termine schierarsi per non alimentare questa sensazione di fazioni, per non veicolare ulteriore polarizzazione, dovrebbero impegnarsi. Impegnarsi su temi sociali e politici può avere sia vantaggi sia rischi per un’azienda. Dipende molto da come l’azienda affronta questo impegno e da quanto è coerente con i suoi valori e il suo pubblico di riferimento.
In estrema sintesi farlo aiuta la fidelizzazione dei/delle clienti, l’attrazione dei talenti e il posizionamento identitario e reputazionale del brand. Di contro, se lo si fa in modo superficiale o incoerente si incorre in: reazioni negative, critiche, accuse di washing e di alienazione di una parte dei/delle clienti e dei prospect.
QUALI SONO LE SFIDE CHE OGGI COME OGGI LA D&I DEVE SEMPRE PIÙ CONSIDERARE E AFFRONTARE?
Oggi, la D&I non si limita più all’inclusione di categorie specifiche come le donne, le persone LGBTQ+, o le minoranze etniche. Il paradigma si sta spostando verso un approccio più intersezionale e olistico, che considera l’identità delle persone in modo più complesso e sfaccettato. Questo implica nuove sfide per le organizzazioni, che devono evolversi per riflettere questa complessità e garantire per esempio che ogni persona abbia voce in capitolo a tutti i livelli aziendali, considerare che le persone hanno una vita fuori dall’azienda e creare spazi fisici e digitali che ne rispettino i confini.
SO CHE SPESSO TE LO CHIEDONO LE PERSONE PIÙ GIOVANI. QUALE FORMAZIONE, QUALI ESPERIENZE E PERCORSI È NECESSARIO INTRAPRENDERE PER LAVORARE IN UN SETTORE COME IL TUO?
Sempre più istituzioni offrono corsi o certificati specifici in Diversity and Inclusion, che coprono argomenti come la gestione della diversità, l’inclusione nel posto di lavoro, e la leadership inclusiva, ma non esiste un percorso unico o “standard” per entrare nel mondo della D&I. Una base solida può essere anche costruita attraverso studi in campi come le Scienze sociali, la Psicologia, le Scienze politiche, gli Studi di genere, la Sociologia o le Relazioni internazionali. Questi campi forniscono una comprensione delle dinamiche sociali, delle strutture di potere, e delle tematiche di equità e giustizia.
Un ruolo nella D&I spesso implica guidare il cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni. Esperienze precedenti nella gestione del cambiamento, nella facilitazione di workshop o progetti di trasformazione aziendale possono essere molto preziose per capire come costruire strategie efficaci di D&I.
Inoltre, chi lavora in D&I deve essere dispostǝ a confrontarsi con le proprie idee, pregiudizi e privilegio. È importante coltivare un’autentica curiosità verso le esperienze delle altre persone, un impegno personale per l’apprendimento continuo, e una volontà di crescere anche attraverso il confronto con idee e prospettive diverse.