QUANDO LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DIVENTA INCLUSIONE REALE
Gli investimenti dei brand per rappresentare la disabilità nelle campagne sono il 3% della spesa complessiva, ma le cose stanno cambiando grazie all’azione concreta che stanno producendo gli attivisti e le attiviste, che fanno da eco mediatica e da base per un nuovo pensiero.
Negli ultimi anni, il termine “Brand Activism” ha iniziato a circolare con sempre maggiore frequenza nel mondo del marketing e della comunicazione. Ma cosa significa veramente, soprattutto quando si parla di disabilità? E, soprattutto, le aziende stanno davvero facendo la differenza o si tratta solo di un’altra strategia di marketing “washing”?
Il Brand Activism è l’impegno di un’azienda nel promuovere cambiamenti sociali, ambientali o politici attraverso le proprie azioni e comunicazioni. Non si tratta solo di donare denaro o sostenere una causa per un breve periodo, ma di integrare valori sociali profondi e coerenti in ogni aspetto del business. Ma a che punto siamo nel nostro Paese?
Su quasi 450.000 pubblicità in prima serata sulla Tv statunitense nel 2021, solo l’1% includeva la rappresentazione di temi, immagini o argomenti legati alla disabilità. Eppure, in tutta la popolazione statunitense l’incidenza delle persone con disabilità è pari al 26%, mentre del 24% nell’Unione Europea. Uno squilibrio evidente che va ridotto o eliminato.
Veniamo da un periodo mediatico importante, trascinato dalle Olimpiadi di Parigi, e non sono mancati i brand che hanno inserito la disabilità nei loro messaggi pubblicitari, come ad esempio Toyota. Troppe volte abbiamo visto campagne pubblicitarie che sfruttano la disabilità come un espediente per ottenere visibilità, senza realmente affrontare le barriere sistemiche che le persone con disabilità incontrano quotidianamente. L’inclusività non può essere solo uno slogan, ma deve essere una parte integrante del DNA di un’azienda.
La vera sfida non è solo creare prodotti “inclusivi”, ma assicurarsi che l’intera esperienza del/la cliente, dalla progettazione alla comunicazione, sia accessibile e rispettosa delle diversità.
Ci sono aziende che stanno dimostrando cosa significhi davvero impegnarsi per l’inclusione delle persone con disabilità. Tra queste, Tommy Hilfiger, che con la sua linea “Adaptive” ha rivoluzionato il mondo della moda, offrendo capi progettati per essere indossati con facilità da persone con diverse disabilità. Oppure Microsoft, che ha sviluppato l’Adaptive Controller, un dispositivo per il gaming pensato per i giocatori e le giocatrici con mobilità ridotta.
Questi esempi non solo rispondono a un bisogno concreto, ma rappresentano un cambio di paradigma nel modo in cui le aziende possono e devono contribuire a costruire una società più giusta e inclusiva.
In Italia il 69% della popolazione è maggiormente propensa verso i brand più inclusivi. Addirittura il 70% tende a consigliare queste marche, con un impatto sul fatturato del +21%. Da qui un bisogno concreto di colmare un gap comunicativo: è tempo di costruire anche strumenti culturali adatti a rispondere a tali mancanze. Da Showreel a Showreal, più spazio per persone con disabilità nella pubblicità: è nata la campagna di YAM112003, Valore D, Fondazione Diversity e OBE (Osservatorio Branded Entertainment), per favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità a partire dalla loro rappresentazione sui media.
Non possiamo parlare di Brand Activism senza, però, menzionare il pericolo del “Washing”, termine che indica quando un’azienda sfrutta cause sociali per migliorare la propria immagine, senza però un reale impegno. Nel contesto della disabilità, questo rischio è particolarmente elevato.
Abbiamo visto troppi esempi di brand che utilizzano immagini di persone con disabilità solo per scopi pubblicitari, senza alcun coinvolgimento reale nella causa. Questa pratica non solo è eticamente discutibile, ma rischia di danneggiare ulteriormente la percezione delle persone con disabilità nella società.
Le aziende hanno il potere di fare la differenza, ma devono essere disposte a fare un passo avanti, andando oltre il semplice marketing e abbracciando una vera responsabilità sociale. Per fare questo, è necessario ascoltare le voci delle persone con disabilità, coinvolgerle nei processi decisionali e lavorare per abbattere le barriere che ancora oggi limitano la piena partecipazione nella società.