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QUANDO I CONSUMATORI E LE CONSUMATRICI COMANDANO I BRAND

A cura di Riccardo Argento
18 Ott 2024

Se si vuole cambiare il mondo bisogna cambiare prima le proprie abitudini.
Una frase che spiega come nel proprio piccolo si possa fare una grande differenza se unitɜ, ma che sta anche alla base di un sistema di valori che col tempo è diventato parte costituente, fondante di un modo di vedere le aziende, di indirizzare le proprie abitudini di spesa e di stare sui social per le generazioni più giovani, specialmente la Gen Z.
La scala dei valori è cambiata, ora il focus sta sulle tematiche sociali, come il cambiamento climatico, la sostenibilità o l’inclusione, argomenti onnipresenti nei pensieri di chi ha la certezza che, di queste cose, ne sentirà le conseguenze sulla propria pelle. Ciò cambia quindi anche la mente deǝ singolǝ consumatorǝ, che inizia a fare caso alla provenienza dei prodotti, a come vengono fatti, il loro ciclo di vita e infine la loro morte, andando a modificare le proprie abitudini di spesa in base ai suoi valori e allertando le aziende, che iniziano a loro volta ad adattarsi.
Le reazioni sono varie e man mano si delinea la tendenza a mostrarsi attentɜ a questi ambiti ed è qui che le principali differenze si iniziano a vedere, mostrando il vero volto delle aziende. Se il cambiamento è solo di facciata si potrà parlare ad esempio di greenwashing, quando un’azienda si dice più sostenibile nel suo marketing ma nei fatti poco cambia a livello di produzione. Il cambiamento può anche essere più profondo e sincero, come quando un’azienda si dedica al brand activism.

Ma noi consumatorɜ giovani, come la prendiamo?
Se la finestra sul mondo delle aziende, oltre al prodotto, sono le pubblicità, nella sfera di Internet cambiando medium cambia anche il linguaggio, che deve esprimere in poco tempo quanto serve per convincerci, o lasciarci un’ottima impressione, ma non basta. Proprio per lo sviluppo che stanno prendendo i social, sembra quasi ci si stia stancando dell’apparenza e ci sia invece una fame di autenticità che spesso nella creazione dei contenuti manca, esempio che spicca tra tutti: le foto ritoccate. Diventa quindi un prerequisito dimostrare il proprio impegno ed esporsi sulle tematiche che toccano ɜ proprɜ consumatorɜ, è necessario rendere conto della propria storia, della propria produzione e dell’impatto che volente o nolente ogni azienda ha, sia dal lato della sostenibilità, sì, ma anche e soprattutto per le tematiche sociali che le riguardano.
A partire dal proprio ecosistema interno, che riguarda le persone che costituiscono il brand, fino al marketing che non può più cadere negli stereotipi o in un’ottica arretrata perché salta all’occhio, si vede. E stona.
Che ci piaccia o meno, le persone vengono influenzate da ciò che vedono, pubblicità comprese. Diventa difficile cambiare rotta su temi che vengono quotidianamente rinforzati dai media e ormai non va più giù, si rigettano i brand che falliscono nel ricollocarsi e si premiano quelli che invece riescono a fare un’autoanalisi coerente e sincera.

Insomma, le belle parole non bastano, queste generazioni cercano altro, un cambiamento sincero che scuota i paradigmi a cui eravamo abituatɜ fino a poco tempo fa. La politica e l’impegno sociale non appartengono più alla singola persona e ai movimenti, serve che anche altre componenti della società, di cui le aziende sono una grande fetta, siano capaci di mettersi in discussione e trovare un proprio posto come enti.
Chissà, magari un giorno il nostro modello di società sarà sinceramente e intimamente, attivista.

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