
Pensiamo ecologicamente
F. Nietzsche scrisse che mentre gli animali hanno un ambiente, gli esseri umani vivono in un mondo. Questo perché gli animali seguono il proprio istinto, sono adattati al contesto in cui vivono e hanno poche possibilità di modificarlo. Gli esseri umani invece, come animali non stabilizzati, non guidati dall’istinto, si devono costruire un mondo, realizzando artefatti e impiegando la propria capacità di simbolizzare la realtà, significandola.
Quello che è accaduto, però, è che costruendo il mondo parte dell’umanità si è dimenticata che il suo sostrato è comunque l’ambiente, che l’essere umano vive in un eco-sistema, ossia in un insieme organizzato di variabili naturali, con un loro equilibrio. Questo approccio ha contrapposto essere umano e natura, identificando la seconda come un oggetto: la parola oggetto viene dal latino obiectum, che a sua volta deriva da ob iacere, gettare, mettere di fronte. Sulla dicotomia Io – Oggetto abbiamo costruito la civiltà occidentale, il pensiero scientifico e tecnico e anche il nostro approccio verso l’ambiente, degradato a oggetto da conoscere, trasformare, usare.
Oggi questo approccio (cui comunque dobbiamo tanto del nostro progresso) ha messo in evidenza i suoi limiti. A segnalare questi limiti sono le tante crisi che costellano il periodo in cui viviamo: l’instabilità geo-politica, la diffusione epidemica del disagio psico-sociale, i radicali cambiamenti climatici, per fare alcuni esempi.
Una consolidata corrente di pensiero, a partire dal secolo scorso, ha messo in evidenza come il tema ambientale non dipenda solo, o tanto, da stili di vita e della produzione inquinanti, che impattano sull’equilibrio dell’ambiente, per cui sarebbe sufficiente rendere questi ultimi sostenibili per ritenere risolta la questione ambientale. Piuttosto, la crisi dell’ambiente sarebbe il sintomo tragico di un certo tipo di relazioni tra l’essere umano e l’ambiente, tra gli esseri umani tra di loro, nel rapporto di ciascun essere umano con sé stesso. Questa sfaccettata corrente di pensiero sollecita ad affiancare ai pur doverosi sforzi per ridurre il nostro impatto sull’ambiente una torsione del nostro modo di stare tra di noi e con noi stesse e noi stessi e del nostro sguardo sul mondo.
E. Morin, ad esempio, ha dedicato buona parte delle sue riflessioni a mostrare come la struttura della realtà sia sistemica, per cui un approccio riduzionistico non ci consente né di comprenderne il funzionamento né di agire efficacemente in essa. La crisi ecologica è interdipendente con crisi economiche, sociali, politiche e culturali, non è isolata. I problemi sono intrecciati e non si possono risolvere con risposte semplici o settoriali. Per affrontare la crisi ecologica serve un nuovo modo di pensare: un pensiero complesso, capace di connettere le dimensioni ecologiche, etiche, sociali e culturali.
G. Bateson, in Verso un’ecologia della mente, fa eco a questa analisi. Secondo lui la crisi ecologica non è solo ambientale, ma anche cognitiva. Occorre dunque imparare a pensare in modo più ecologico, riconoscendo le connessioni tra pensiero, cultura e ambiente.
Quali insegnamenti trarne per il diversity management? Innanzitutto che anche l’ambiente di lavoro è un eco-sistema e occorre uno sguardo sistemico per capirlo nella sua complessità. L’inclusione non si può realizzare come un’imposizione ma deve essere generata dal sistema; ogni ganglio ha un ruolo. Questo approccio ci insegna anche che un sistema tende a preservarsi: se esso è inclusivo tenderà ad attivare, a tutti i suoi livelli, strategie per rimanere tale.
Il pensiero eco-sistemico insegna che occorre guardare alle persone – così come alla natura – non come oggetti che ci stanno di fronte, numeri, individualità monadiche, ma come il frutto di relazioni complesse. Hegel ci ricordava che un piede, senza il corpo, non è un piede; è nella sua relazione con il resto del corpo che si può definire piede. Similarmente, i nostri ruoli, identità, caratteristiche esistono nelle relazioni: è sulla loro qualità che dobbiamo lavorare.
Ultimo spunto: relazioni attente all’unicità di ogni persona e al valore che essa esprime possono costituire un contributo a uno sguardo non reificante degli individui e del mondo e, per tal via, favorire lo sviluppo di quell’ecologia della mente collettiva su cui fondare un’inversione di rotta rispetto alla crisi ambientale che stiamo attraversando.