
OKJA
Sebbene il tema principale sia quello ambientalista e contrario ai maltrattamenti sugli animali destinati all’industria della carne, questo film è perfetto per illustrare anche il social washing tentato da alcune multinazionali, ovvero l’altra faccia del brand activism. Una satira amara che esplicita la violenza insita nell’accoppiata di interessi economico-finanziari e strategie manipolative di comunicazione.
“OKJA” – scritto e diretto dal geniale coreano BONG Joon Ho, interpretato da una Tilda Swinton sapientemente al limite del cartoon, un Jake Gyllenhaal caricaturale e dalla giovane AN Seo Hyun assolutamente credibile – è intenso, nonché godibilissimo. Godibile perché ben ritmato, in un crescendo che dall’Eden delle montagne sudcoreane ci conduce all’Inferno di un mattatoio negli USA; intenso perché ironico e intelligente nel porre la questione del cibo geneticamente modificato, delle falsità sul fronte della comunicazione, dell’impegno “non violento” deglɜ animalistɜ, dell’integrità degli affetti tra esseri umani e animali.
Avventure rocambolesche e buoni sentimenti, protagoniste una bimba e la sua affezionata e intelligente suina. Potrebbe essere una produzione della Disney dei bei tempi.
Okja è una “supersuina” – qualcosa tra il maiale e l’ippopotamo per intenderci – nata nei laboratori genetici della Mirando Corporation e poi affidata a deɜ contadinɜ sudcoreanɜ per essere cresciuta naturalmente e preparare quello che sarà, dieci anni dopo, un perfetto piano di comunicazione. Al momento opportuno Okja verrà infatti presentata ai consumatori e alle consumatrici come la campionessa di una nuova specie naturale di maiale, annunciata ipocritamente come scoperta in Cile, cresciuta con criteri “bio” e per questo dalla carne particolarmente accattivante per il mercato.
Lucy Mirando (Swinton) è la complessatissima magnate della multinazionale, algida e platinata, indossa a 50 anni l’apparecchio per i denti, segno inequivocabile della volontà di piegare la natura oltre che retaggio di bimba mai cresciuta. Il Dr. Johnny Wilcox (Gyllenhaal) è lo scienziato che si è venduto al business e ai media, star egocentrica e smidollata; Mija (Ahn Seo-hyun) è la ragazzina tredicenne che è cresciuta col nonno e con Okja, tra le montagne verdi e i ruscelli, vivace e determinata – una Heidi coreana potremmo dire –, affezionatissima alla sua Okja con la quale c’è ovviamente un’intesa perfetta e molta tenerezza. Giocano insieme, dormono insieme, si capiscono al volo, Mija le dice segreti all’orecchio, si proteggono reciprocamente. Atmosfera idilliaca. Si mangia quel che si raccoglie, tutt’al più qualche pesce pescato con le mani.
Ma un giorno arrivano gli emissari della Mirando Corp. per riportare Okja negli U.S.A. e dare l’avvio al piano di comunicazione e di produzione. Mija non ne era al corrente, pensava di possedere Okja per sempre, e il nonno cerca di spiegarle che non è stato possibile comprarla, cerca di distrarla regalandole un maialino di oro massiccio. Intanto la delegazione si è portata via l’animale, allora Mija parte all’inseguimento. Inizia da qui un percorso a tratti mozzafiato e divertente – si pensi al blitz deglɜ animalistɜ che continuano a scusarsi con buone maniere, o alla fuga di Mija e Okja nei grandi magazzini sotterranei della metro – ma anche drasticamente brutale: per esempio l’accoppiamento forzato di Okja, un vero e proprio stupro seguito in diretta video daglɜ animalistɜ orripilatɜ ma non troppo (“abbassa almeno il volume” dice una di loro) o le scene degli scontri tra animalistɜ e polizia, fino alle scene finali nel mattatoio.
Il baricentro di questo film denso di azione e di contenuti viene mantenuto con grazia proprio dalla presenza della protagonista bambina. Mija è un personaggio semplice nel suo attaccamento affettivo a Okja, nella sincerità che la estranea da ideologie e avidità delle persone adulte, determinata nell’abbattere ostacoli e alla fine lucida nel comprendere le regole del gioco, senza mai venir meno ai propri principi.
L’altro caposaldo della narrazione è l’ironia che non risparmia né ɜ “buonɜ” animalistɜ (con il loro leader ipercorretto e misurato, se non fosse per un “piccolo” scatto di nervi a un certo punto…) né il nonno di Mija. E non impedisce di proporre allo spettatore e alla spettatrice tocchi di grande emozione ed eloquenza, come il cucciolo di “supersuino” allontanato dal mattatoio dai genitori, così simile al gesto di quegli ebrei che per salvarlɜ calarono ɜ proprɜ figlɜ sulle rotaie dal vagone che li deportava.
Il film stesso costituisce una sorta di ibrido – proprio come Okja – sia perché utilizza un linguaggio da ragazzɜ in realtà rivolto a tuttɜ, sia perché è frutto dei “laboratori Netflix” e dunque prodotto che nasce cinematografico ma destinato alle piattaforme digitali. Ecco che l’apparente film per ragazzɜ – etichetta che per alcuni costituisce una diminutio – è in realtà una pellicola di tutto rispetto. Avvincente ed efficace nel mostrare le sfaccettature di una realtà perversa.