MEDICI SENZA FRONTIERE METTE IN LUCE LE CRISI DIMENTICATE
TI CHIEDO DI PRESENTARTI, DI RACCONTARMI UN PO’ CHI SEI E COME HAI DECISO DI UNIRTI A MSF
Sono Alessia Ripandelli e sono un’infermiera. Il mio percorso professionale è nato un po’ per caso, all’università le materie dedicate all’ambito pediatrico sono quelle che più mi hanno entusiasmata e coinvolta a livello umano. Mi sono laureata nel 2012, quindi sono figlia della grandissima crisi sanitaria italiana, così sono migrata all’estero e ho lavorato in uno dei più moderni ospedali pubblici di Londra. La città, con la sua interculturalità e apertura, mi ha fatta crescere moltissimo. E tra i miei sogni c’era sempre stato quello di fare una missione umanitaria, anche per la forte richiesta che c’era.
La mia prima missione ufficiale è stata nella Repubblica Democratica del Congo per nove mesi, è stata splendida, ho imparato tanto. Sono stata in paesi molto diversi tra di loro, che mi hanno formata come persona, non soltanto come infermiera.
MSF OPERA SPESSO IN AREE DI CRISI DIMENTICATE, COME FA A IDENTIFICARLE E A INTERVENIRE? COME FUNZIONA?
Medici Senza Frontiere opera in più di 70 Paesi nel mondo. Il primo aspetto fondamentale è il monitoraggio. Abbiamo delle squadre internazionali addette a farlo, sia da un punto di vista politico-umanitario, sia da un punto di vista medico-sanitario. Da un lato ci sono i conflitti creati dagli esseri umani (guerre, povertà, crisi climatica), dall’altro ci sono delle nuove epidemie o delle recidive (cioè un’epidemia che torna ciclicamente).
Vorrei prendere l’esempio del terremoto in Marocco del 2023. MSF non aveva alcun progetto lì, però è stato importante intervenire. La prima cosa è ascoltare la richiesta di aiuto e capire quali siano i reali bisogni, per poi capire come supportare la comunità locale.
QUAL È L’IMPATTO DI MSF NEI LUOGHI IN CUI OPERA?
Spesso l’impatto nei contesti di emergenza è difficile da valutare perché noi aiutiamo la popolazione solo da un punto di vista medico-umanitario, non possiamo impattare sulla causa. È come mettere un cerotto su una grande emorragia.
Nelle emergenze dovute alle crisi politiche, MSF ha un impatto molto forte perché si trova lì dove non c’è nessun altro che possa offrire delle cure, come a Gaza o nella Repubblica Centro-Africana.
Se pensiamo a un impatto reale anche a lungo termine, invece, parliamo dei progetti di supporto alla maternità.
L’esempio più significativo è nato nella Repubblica Democratica del Congo: all’interno della foresta tropicale l’accesso alle cure è molto difficile e per arrivare al primo ospedale le donne impiegavano anche quattro giorni; così è stato creato un villaggio per le donne in stato avanzato di gravidanza, un luogo sicuro, dove si è formata una bellissima comunità retta dalla solidarietà. È un esempio di resilienza e speranza.
Anche in Afghanistan, dove per le donne l’accesso alle cure è molto spesso veicolato dal “capofamiglia”, nel 2022 sono stati possibili 42.000 parti sicuri nei centri di MSF di tutto il Paese.
MSF OPERA NEI CONTESTI DELLE “EMERGENZE INVISIBILI”, PERCHÉ CI SONO LUOGHI DI CUI NESSUNƏ PARLA?
È vero, ci sono crisi umanitarie dimenticate. Un esempio è il Sudan, che sta vivendo un conflitto importante da oltre un anno, è spaccato in due parti, dove il potere è conteso da due forze armate, e chi ci rimette? I civili.
Abbiamo pubblicato il report sul Sudan poche settimane fa (si può trovare sul nostro sito), parliamo di un conflitto terribile che coinvolge l’intera popolazione, terrorizzata.
MSF era già lì presente con molti ospedali sparsi su tutto il territorio. Gli ospedali sono stati dei target sin dall’inizio. Sono stati registrati in tutto il paese 60 episodi di violenza sul personale sanitario, di cui l’ultimo il 30 luglio, in cui l’ospedale saudita di Al-Fasher è stato bombardato e ha causato 25 feriti e 3 morti. Ormai il 70% delle strutture sanitarie sono altamente danneggiate.
Abbiamo più di 10 milioni di sfollati interni e quasi 2 milioni di persone che hanno richiesto rifugio nei paesi vicini, che dopo viaggi durissimi sono arrivati in campi rifugiati sovraffollati.
Perché non se ne parla? Non ho una risposta, so che MSF continuerà a portare alla luce tutti i conflitti dimenticati, ma anche tante patologie ed epidemie dimenticate.
Mi sento di dire, anche, che siamo una grande fonte interna. Ne è un esempio la testimonianza di Martina Marchiò – infermiera di MSF – con il suo libro “Brucia anche l’umanità. Diario di un’infermiera a Gaza”, dove racconta ciò che ha vissuto da un punto di vista umano e non geopolitico.
COME SONO LE DINAMICHE DEL GRUPPO IN MISSIONE? COME GESTITE LO STRESS?
MSF garantisce il supporto psicologico dalla partenza fino anche dopo il ritorno da una missione. È fondamentale. Ci tengo tanto a ringraziare tuttɜ lɜ psicolgɜ di MSF.
Il team è importante, ognunǝ ha un ruolo ed è necessario rimanere unitɜ. Abbiamo tanti momenti di confronto essenziali perché dobbiamo sempre considerare un fattore importante che è quello della sicurezza; quindi, se qualcunǝ nota qualcosa o non si sente sicurǝ, deve sentirsi liberǝ di dirlo.
Abbiamo anche dei momenti di decompressione, personalmente faccio yoga ovunque e mi porto dietro dei bei libri.
TI VA DI RACCONTARMI QUALCHE ESPERIENZA PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVA CHE HAI VISSUTO E CHE TI VA DI CONDIVIDERE?
Per rimanere in tema del “parliamo di cose di cui nessuno parla”, ti racconto di Haiti, che sta affrontando una situazione drammatica da anni. Sono andata nel 2021, dopo il terremoto e l’uccisione del Presidente, era un caos.
Abitavo in una tenda con altre 15 persone, con le latrine a 80 metri dalla tenda. Ogni giorno era una sfida creativa capire come arrivare in alcuni luoghi fortemente isolati, ma la soddisfazione di poter aiutare le persone è stata impagabile.
Ho visto dei paesaggi incredibili che non dimenticherò mai.
Sono grata e felice di lavorare con MSF, una realtà eccezionale, che si mette sempre in discussione ed è costantemente aperta per migliorarsi.