L’USATO CHE MIGLIORA IL MONDO
Partirei dalla presentazione della vostra realtà. Trovo significativo che un abito, percepito ormai come un rifiuto, diventi la leva per provare a cambiare il mondo.
È necessario. Dobbiamo invertire la rotta e fare in modo di ridurre i rifiuti e soprattutto di trasformarli in risorse. Humana lo fa con tantissimi progetti. Ma prima faccio un passo indietro per dire chi siamo. Humana People to People Italia è un’organizzazione umanitaria internazionale presente in 46 Paesi nel mondo. Ci occupiamo di cooperazione, sviluppo comunitario e contrasto alla crisi climatica. Siamo circa 20 mila persone. In Italia siamo presentɜ e attivɜ da oltre 25 anni e quello che ci caratterizza è la raccolta, selezione e vendita di abiti usati. Ogni anno in Italia raccogliamo circa 23 milioni di chili di abiti usati ai quali diamo una seconda vita. Siamo una realtà no profit: gli utili che derivano dalle nostre attività vengono usati per sostenere i nostri progetti attivi in Italia e nel mondo nei campi della prevenzione e tutela della salute, istruzione e formazione, agricoltura sostenibile e sicurezza alimentare, aiuto all’infanzia, sviluppo comunitario ed empowerment femminile. Solo nel 2023 la Federazione ha raccolto oltre 130 mila tonnellate di abiti usati che, a oggi, permettono di sostenere più di 1500 progetti raggiungendo quasi 18 milioni di beneficiarɜ direttɜ, persone che vedono migliorare la qualità della vita e il loro futuro.
«Piccoli gesti che trasformano il mondo» è il vostro motto. Dunque tuttɜ possiamo fare qualcosa?
Puntiamo sulla responsabilità individuale e ancor prima sulla consapevolezza. Prendersi cura di un abito significa prendersi cura della nostra terra, del pianeta e delle persone che ci vivono. Quando si parla di sostenibilità e inquinamento non sempre si pensa ai vestiti. L’industria della moda genera il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali e le Nazioni Unite stimano che il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica provenga da qui. Riparare un capo, prolungarne la vita, acquistare «second hand» sono gesti che assumono forza al crescere del numero delle persone che li compiono. Per produrre una t-shirt in cotone, ad esempio, ci vogliono 2700 litri di acqua dolce, pari a quella che una persona beve in 3 anni. Ognunǝ di noi deve assumersi delle responsabilità per provare a cambiare le cose, anche in proporzione all’età. Se sono un bambino o una bambina di 5 anni e sto lavando i denti, devo chiudere l’acqua mentre li spazzolo. Se sono un consumatore o una consumatrice devo valutare i miei impatti nel momento in cui acquisto e consumo. Se sono un amministratore delegato o un’amministratrice delegata devo individuare delle risorse economiche nell’azienda per sostenere l’impatto sociale e ambientale.
Qual è il percorso di un abito usato all’interno della vostra filiera?
Tutto parte dagli oltre 5500 contenitori con il logo Humana che sono posizionati in 42 province italiane. Una volta raccolti gli abiti vengono portati negli impianti di Pregnana Milanese, Brescia, Rovigo, Teramo, Torino, Genova. A Pregnana abbiamo anche l’impianto di smistamento. Qui vengono divisi in quattro macro categorie: riuso, riciclo, estate e inverno. Attraverso ulteriori cicli di selezione si arriva a 25 categorie di prodotto. E con ulteriori passaggi si possono ottenere 80 sottocategorie. Circa il 65% di quello che smistiamo ha la dignità per essere indossato ed è destinato al riutilizzo. La miglior soluzione per valorizzare un abito usato è commercializzarlo negli oltre 550 negozi di Humana presenti in Europa, di cui 18 in Italia. Un 28% circa, che non ha più la dignità per essere indossato, è destinato al riciclo per recuperare le fibre. Il restante 5-7% è destinato al recupero energetico e alla produzione di CSS, il combustibile solido secondario riutilizzato come fonte di energia alternativa rispetto ai combustibili fossili. Per ogni abito viene quindi individuata la miglior valorizzazione possibile.
Le nostre donazioni si trasformano in tantissimi progetti. Le chiedo di raccontarmi il primo, l’ultimo e quello di cui va più fiero.
Lo scorso anno ho avuto l’opportunità di andare in Malawi per visitare i nostri progetti. È stata un’esperienza unica, indimenticabile. Ho incontrato colleghɜ localɜ e beneficiari, agricoltori/trici, insegnanti che la nostra ONG forma e che lavorano nelle scuole dei villaggi rurali. Humana nasce da un gruppo di insegnanti e l’istruzione è da sempre prioritaria nel nostro operare. In quell’occasione ho conosciuto tantissimɜ bambini e bambine che avranno un futuro migliore, libero e dignitoso. Ma ci sono molti progetti anche in Italia. Ad esempio, abbiamo tre orti di comunità nel Milanese. Accolgono anche persone con fragilità e a rischio di esclusione sociale. Una nostra agronoma insegna loro come coltivare in modo sostenibile e ospitiamo anche giornate di volontariato aziendale.
Moltɜ temono che i vestiti affidati ai contenitori finiscano poi nelle mani della criminalità organizzata.
Gli abiti usati sono circondati spesso da aree grigie. C’è tanta disinformazione che crea sfiducia e spesso i media riportano solo notizie negative. L’abito usato, se inserito in una filiera sana, è una grande risorsa. Ma come si contrasta la sfiducia? Con la trasparenza, la concretezza, con le porte aperte agli impianti. Sui nostri contenitori è indicata tutta la filiera. Io consiglio sempre di verificare se è riportata o, in caso di dubbi, di telefonare o visitare il sito. La tracciabilità e la rendicontazione sono fondamentali, così come i momenti di condivisione con aziende, istituzioni, cittadinɜ.
Cosa invece ancora frena l’acquisto di abiti usati?
Recentemente abbiamo presentato con IPSOS una ricerca sul «second hand». Sono emerse informazioni interessanti. Pensando al futuro, i consumatori e le consumatrici si aspettano che questo mercato crescerà. Quando però chiedi loro se singolarmente sono dispostɜ ad acquistare emergono delle barriere. La più importante è legata all’aspetto igienico. Una persona su due non ha mai acquistato usato e il motivo è proprio quello igienico. Moltɜ non sanno che i capi vengono selezionati con cura e igienizzati prima di essere commercializzati. Come anche per gli abiti nuovi, buona norma rimane sempre quella di lavarli dopo l’acquisto. Ci sono poi altre due motivazioni che bloccano l’acquisto: la presenza di pochi negozi e ancora un certo disorientamento generale.