LE AZIENDE VERSO LA NEUTRALITÀ POLITICA?
Con il popolo palestinese o con Israele, per i diritti della comunità LGBT+ o contro il wokismo, con Trump o Harris? Sono solo alcune delle domande polarizzanti a cui le imprese hanno prontamente risposto negli ultimi decenni, facendo crollare la favoletta della separazione tra sfera economica e sfera politica. Specialmente negli Stati Uniti, dove il denaro è la valuta del potere politico, le imprese sono diventate colossi capaci di far sentire la propria voce, schierandosi dall’una o dall’altra parte.
Il cosiddetto ‘brand activism’ è anche azione politica, perché è ingerenza degli affari privati nelle questioni pubbliche. Poco conta se siano i profitti, la ricerca di legittimazione, o un autentico impegno civile a muovere l’attivismo: quando le imprese si schierano, gli effetti sono politici.
Ma qualcosa sta cambiando. E non è un caso che ad aprire quello che potrebbe essere il trend del futuro sia stata Harvard, vittima di furiosi attacchi da ambo le parti sulla questione palestinese, con perdite economiche disastrose, una reputazione a rischio e una Presidente supportata da tutto il board costretta al ritiro. Non è un caso perché le grandi università americane sono sempre state capaci di esprimere i segni dello “spirito del tempo”.
Ma dove sta la novità della Harvard corporation? Nella scelta della neutralità istituzionale. Una decisione radicale perché rompe con la sua storia di impegno politico. Più che una decisione, una recisione. D’ora in avanti l’università-azienda, è stato dichiarato, si occuperà esclusivamente del proprio “core business”. Harvard non si schiererà più su nessuna questione politica, uscendo ufficialmente dall’arena pubblica. D’altra parte, più la società diventa polarizzata, più le imprese si interrogano se convenga esprimersi su questioni controverse – ormai tutte? – oppure se non sia più intelligente rimanere neutrali, per evitare dal principio gli attacchi mediatici, le incursioni dei movimenti sociali e i boicottaggi. Insomma, una “svizzerizzazione” del business.
Non è ancora chiaro se questa sarà la tendenza del futuro, o se sia solo una maschera per nascondere la cooptazione della sfera politica da parte del capitalismo. Potrebbe però essere un bene per la democrazia. Le aziende sono soggetti che perseguono interessi privati, con una legittimità democratica più debole rispetto agli Stati – nessuno vota i board delle aziende – e pertanto poco incentivati a perseguire il bene comune qualora non sia allineato ai propri interessi. Vi è inoltre una questione ontologica da risolvere al fondo. A chi appartiene la voce politica dell’azienda? Chi parla, quando l’azienda parla? Alan Strudler, filosofo americano, ha di recente sostenuto che la voce dell’azienda è semplicemente quella del management. Non esisterebbe pertanto alcuna azienda come soggetto politico.