
La transizione ecologica è trasformazione economica e sociale che non deve lasciare indietro nessuno
L’emergenza climatica ci costringe a ripensare e riprogettare un ecosistema che sia circolare, com’è la natura (!), e superare il modello economico lineare che ha finora prevalso sul nostro Pianeta. Ci dobbiamo occupare dei cambiamenti climatici perché impattano negativamente la sopravvivenza del genere umano che li ha causati: sulla Terra animali e piante hanno già vissuto crisi ben più gravi di questa e ne sono usciti evolvendosi.
Allora credo che alla parola transizione – energetica, ecologica, economica – si debba sempre abbinare la parola “giusta”, giusta per le persone, cioè che tenga conto di tutti e tutte e riduca le disuguaglianze. La just transition è un concetto che si è sviluppato negli anni ‘80 per tutelare i lavoratori e le lavoratrici durante la transizione a un’economia sostenibile ed è stata riconosciuta a livello globale: è presente nell’accordo di Parigi sul clima del 2015 ed è presente nel Green Deal dell’Unione Europea come strumento per realizzare lo sviluppo sostenibile.
Senza energia non possono esserci sviluppo e benessere e la maggior parte degli investimenti per la transizione sono indirizzati verso le energie rinnovabili, che sono non solo più “verdi”, ma anche accessibili in modo più socialmente equo. I combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) non sono equidistribuiti sul nostro Pianeta: ci sono Paesi che hanno giacimenti sul proprio territorio, altri ne sono del tutto privi e la disparità di accesso all’energia ha creato rapporti di dipendenza e sfruttamento e ha limitato le possibilità di sviluppo per alcuni territori.
Questa disparità regionale può essere superata grazie alle fonti rinnovabili che sono disponibili in diverse forme in tutto il Pianeta, anche nelle regioni a più basso reddito che finora sono rimaste indietro proprio a causa della dipendenza energetica da altri Paesi. La transizione può quindi dare accesso a fonti energetiche convenienti, affidabili e pulite: l’energia solare, ad esempio, può portare elettricità nelle aree rurali precedentemente prive di elettricità, migliorando le opportunità di crescita economica, istruzione e assistenza sanitaria.
In molti Paesi a basso reddito il riscaldamento e le cucine funzionano ancora con fuochi a legna, carbone o biomassa, che hanno effetti negativi sulla salute a causa dei fumi interni alle case. Il passaggio all’elettrificazione tramite energia rinnovabile può ridurre le malattie respiratorie causate dall’inquinamento indoor.
I cambiamenti della filiera energetica portano anche elementi di discontinuità, in particolare nel mondo del lavoro in cui il primo effetto è la diminuzione di posti di lavoro nel settore. L’impatto sull’occupazione può variare da regione a regione e il quadro normativo che incentiva la transizione deve prevedere supporto per il passaggio della forza lavoro verso settori nuovi e sostenibili e garantire che nessunə venga lasciatə indietro.
Il passaggio al modello circolare e all’energia pulita interessa tutti gli ambiti, non solo l’ambiente e l’approvvigionamento energetico. Sposta le zone di interesse e influenza in ambito politico, modifica i rapporti di interdipendenza economica, crea cambiamenti sociali e culturali che necessitano di essere sostenuti. È necessario realizzare, promuovere e finanziare soluzioni sostenibili a lungo termine e ad ampio raggio, attraverso politiche pubbliche e investimenti (anche privati), reti di sostegno sociale per i lavoratori e le lavoratrici dei settori interessati dal cambiamento, centri di istruzione e formazione professionale e il coinvolgimento di tutti gli stakeholder.
La transizione energetica può offrire notevoli opportunità per ridurre la povertà, migliorare la salute, creare nuove industrie e promuovere uno sviluppo sostenibile per tutti e tutte, ma deve necessariamente essere abbinata a politiche inclusive che garantiscano che i gruppi vulnerabili non vengano lasciati indietro.