"LA SPECIE FOLLE", Antonio Moresco

A cura di Sabrina Tracuzzi
13 Giu 2025

Inizierei da La specie folle, romanzo già pubblicato nel 2018 con il titolo Il Grido; come è maturato questo cambiamento nel titolo? Quando è avvenuto?

Io in genere non cambio i titoli dei miei libri, però in questo caso c’è stato proprio bisogno di questo cambiamento e salto di prospettiva.

Il Grido esprimeva la mia disperazione nei confronti di quello che sta succedendo, della cecità degli umani in un momento di passaggio così cruciale. Però, a un certo punto, mi è sembrato che questo tipo di sguardo non bastasse. Più passava il tempo, più guardavo quello che stava accadendo nel mondo, più mi sembrava di dover passare da un titolo che esprimeva la mia ribellione e disperazione individuale a uno che esprimesse uno sgomento più grande, di specie.

Perché mi sembrava che gli umani stessero vivendo in una dimensione di vera e propria follia. Una dimensione, quella della follia, che in genere viene associata agli individui singoli, non alle collettività. Mi sembrava che bisognasse guardare in faccia la realtà e dire che la nostra specie sta assumendo caratteristiche autodistruttive e suicide che possono essere attribuite a vera e propria follia.

In effetti, nel libro si parla degli errori commessi dalla democrazia. Una democrazia non infallibile come spesso viene presentata. Cosa ha scatenato questo pensiero?

La democrazia nasce ad Atene in uno dei periodi più alti della civiltà greca ma era circoscritta a una élite: come sappiamo non votavano le donne e non votavano gli schiavi. In età moderna si è via via affermata negli Stati Uniti e c’è stata questa straordinaria invenzione su cui Alexis De Tocqueville ha scritto quel meraviglioso libro che è La democrazia in America, dove un uomo del vecchio mondo, dell’Ancien Régime, incontra questo mondo che non si era mai visto prima, ed è formidabile perché ne coglie subito le novità, i pregi, ma anche i limiti, fin dal suo nascere.

Anche Walt Whitman era esaltato dal sistema democratico, pur vedendone subito il baco che nasconde all’interno e che lo rode dalle fondamenta: l’egoismo, l’economia come unico orizzonte e anima della nazione. 

é un libro profetico dove Whitman descrive ciò che sarebbe davvero successo e che sta succedendo. Questa crisi profonda della democrazia è resa ancora più drammatica dal fatto che, invece, sarebbe questo il momento di prendere decisioni epocali e ardite, per la sopravvivenza della nostra specie su questo Pianeta, che abbiamo trattato come la nostra discarica e che adesso ci sta mostrando il conto. Due anni fa il cambiamento climatico era su tutti i giornali, adesso ci sono così tante emergenze e follie che nessuno ne parla quasi più. Io, in quel cambio di titolo, nell’usare la parola follia volevo indicare questa accelerazione di processi autodistruttivi che sono diventati un tutt’uno con un’idea di sviluppo e dominio che mostra sempre più aspetti suicidi.

Nello stesso tempo volevo anche evidenziare che nella storia dell’umanità questa stessa follia, declinata come ardimento, coraggio, slancio, certe volte è servita anche agli esseri umani per compiere imprese che sembravano impossibili, scoperte inaudite, trasformazioni che sembravano impensabili.

Sappiamo infatti che tutta una serie di grandi imprese, in ambito geografico, storico, artistico... sono state rese possibili grazie a certe fissazioni, che sembravano folli, di alcune persone che hanno permesso all’umanità di progredire, scoprire, inventare. Così ho pensato che, se la follia è la materia prima di cui come specie disponiamo a piene mani, possiamo almeno usarla per inventarci un futuro e per creare nuove condizioni, sfidando la realtà buia, cieca che ci circonda, per trasformare questa forza negativa in una chance. Siamo in una situazione tale che gli scenari possibili non bastano più, non ci possono tirare fuori dal vicolo cieco in cui siamo finiti, perché proprio gli scenari possibili ci hanno portato al punto in cui siamo. Adesso dobbiamo puntare sull’impossibile, sulla follia “creatrice”, che non si arrende, che inventa possibilità impensate e supera ostacoli che sembrano insormontabili.

Quindi la follia di specie assume un duplice valore: è sia pericolo sia risorsa?

Siamo abituati a pensare che la sola razionalità sia l’essenza dell’umanità. Io non disprezzo la ragione, s’intende, ma la sola ragione funzionale rischia di diventare puro calcolo finalizzato all’affermazione di sé, puro egocentrismo e antropocentrismo. Noi abbiamo bisogno anche un po’ di sragionare, prefigurare e non solo di calcolare. 

Dobbiamo coniugare la realtà con l’immaginazione, come fa il bambino quando gioca. Abbiamo bisogno di riconquistare questa forza indivisa che tiene insieme la realtà e l’immaginazione. Schiller dice che l’essere umano non è mai così umano come quando gioca; il gioco serve per moltiplicare le nostre forze, per mettere a repentaglio le nostre sicurezze, superare il limite che ci imprigiona, sennò siamo finiti come specie.

Un altro tema nel libro è quello della metamorfosi.

Se non si cambia in modo verticale, metamorfico, la realtà torna a sé stessa, com’era prima o peggio, come sta succedendo. Quello che ci vorrebbe sarebbe una metamorfosi di specie. Sai, noi umani siamo una sola e unica specie, mentre gli insetti hanno un milione di diverse specie. Noi, che ci crediamo migliori e più evoluti, in termini metamorfici, non siamo superiori nemmeno a una camola, non abbiamo la capacità di passare attraverso stati diversi di esistenza. Tranne che per la maternità e la nascita individuale. Abbiamo cercato un cambiamento puramente esteriore attraverso la sola tecnologia. Abbiamo proiettato la potenza fuori di noi, attraverso continue protesi, fino a privarci delle nostre capacità. Adesso, per esempio, Elon Musk vuole andare a colonizzare Marte. Si ripresenta di nuovo, su scala più vasta, la solita mentalità colonialista, si pensa che ormai la Terra sia perduta e che ci sia tutto l’universo da sfruttare, sempre con quella logica positivista e predatoria. Andare su Marte pur di non affrontare il cambiamento, una via di fuga per non prendersi responsabilità. È sconcertante che la nostra specie, in soli trecentomila anni, abbia fatto un disastro simile, mentre la vita media delle altre specie è di 5 milioni di anni. 

E ora, pur di non fermare questo timer impazzito, siamo arrivati a dire che siamo contenti della fine del mondo.

È un atteggiamento profondamente cinico che denota la totale incapacità di stabilire legami forti con gli altri esseri viventi. è la pulsione di morte di cui parla Freud. Il desiderio segreto di tornare all’inanimato, allo stato minerale dell’esistenza.

C’era una probabilità su miliardi che si innescasse quella reazione chimica e nascesse dalla materia inorganica quella organica e, ciononostante, è come se la nostra specie nutrisse il desiderio profondo di ritornare a quel punto di partenza, per scaricare tutta l’angoscia dell’esistenza. Stiamo vivendo in un’epoca in cui la pulsione di morte è dominante.

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