La rete come una famiglia. È Netily la parola del futuro

A cura di Antonella Patete
13 Giu 2025


Trieste 3mila persone hanno partecipato al Festival della Comunicazione Non Ostile. Al centro il dialogo tra le generazioni. Russo: «I giovani abitano la rete. Genitori non lasciate chiusa quella porta».

Alla fine dello scorso febbraio, 3mila persone si sono ritrovate a Trieste per parlare di come le parole possano dare forma al futuro, influenzare le relazioni e, perfino, cambiare il corso degli eventi. Tra pubblico in piedi e hotel quasi al completo, la settima edizione del Festival della Comunicazione Non Ostile ha acceso i riflettori sulla Generazione Z, mettendo al centro il dialogo tra generazioni. «I numeri hanno sorpreso anche noi: il 60% dei partecipanti veniva da fuori città» racconta Rosy Russo, fondatrice di Parole O_Stili che, nel 2017, ha lanciato il Manifesto della Comunicazione Non Ostile, un decalogo per migliorare il linguaggio e i comportamenti online. «È incoraggiante pensare che, nonostante il periodo complicato, ci sia ancora un forte bisogno di rispetto e relazioni autentiche. C’è voglia di vivere il web in modo consapevole e positivo, sapendo che ognuno di noi può essere un anticorpo e promuovere un nuovo modo di abitare la rete».

Perché quest’anno avete scelto il rapporto tra generazioni come tema centrale del Festival?

Perché oggi il digitale attraversa cinque generazioni.
Il 1° gennaio è nata ufficialmente la Generazione Beta, i cosiddetti “nativi artificiali”. E ogni generazione, dai boomer alla Gen Z, ha un proprio modo di vivere la rete. Quest’anno abbiamo scelto di dare voce alle persone giovani: non un festival per loro, ma con loro.

E com’è andata?

Il primo giorno abbiamo riunito 400 persone, metà under 30 e metà over 30. Le abbiamo divise in 40 tavoli da 10, chiedendo a ogni tavolo di scegliere una parola che esprimesse l’idea di una community accogliente e inclusiva, proprio come Parole O_Stili vorrebbe che fosse la rete. Alla fine abbiamo votato e la parola scelta è stata “Netily”, che riporta all’idea di una famiglia digitale: la rete di relazioni che costruiamo online ogni giorno con amici, colleghe, conoscenti ma anche sconosciute. Una parola nuova, che comincia già a circolare e che ci rende orgogliosi, perché esprime il desiderio, e forse anche l’augurio, di vivere il web come un luogo dove sentirsi accolti come in famiglia.

Come lavorate con i e le giovani durante l’anno?

Io sono anche madre di quattro figli, ma non è questo il punto. Parole O_Stili lavora molto nelle scuole. Ogni anno coinvolgiamo quasi un milione di studenti e studentesse e migliaia di insegnanti, offrendo una piattaforma gratuita ricca di materiali educativi. Dalla scuola arriva un messaggio forte: c’è un’enorme solitudine tra le persone giovani. Non trovano figure adulte di cui fidarsi, soprattutto per quanto riguarda il mondo digitale.

Può spiegare meglio?

Molti genitori non sanno granché di ciò che accade in rete e così i ragazzi e le ragazze si arrangiano in autonomia. Alla fine degli incontri nelle scuole, a volte chiedo a studentesse e studenti di scrivere su un bigliettino gli insulti ricevuti online. Ci sono messaggi che fanno venire i brividi: «Devi morire», «Sei una testa di cazzo», «Tua madre è una puttana» e, se va bene, «Hai la 104».

Cosa non capiamo come persone adulte?

Non capiamo che per i ragazzi e le ragazze il virtuale è reale, che poi è il primo punto del nostro Manifesto. Le persone giovani vivono la rete, ci sono nate dentro. Per loro non c’è differenza tra un messaggio online e una cosa detta di persona. Litigano, si innamorano e si lasciano online. Le emozioni sono le stesse, il dolore è lo stesso. Se non comprendiamo questo, non potremo mai davvero dialogare con loro. E finiamo per diventare ITF, i tagliati fuori, come dico io. A me piace pensare al digitale come a una stanza in più all’interno della casa. Ma se tu, adulto, quella porta non la apri mai, i nostri ragazzi e le nostre ragazze restano da soli lì dentro.

Voi lavorate molto con il mondo dell’impresa, ma le aziende che possono fare?

Innanzitutto, le imprese ci aiutano a raggiungere quelle persone adulte che altrimenti non potremmo incontrare, perché i genitori difficilmente li trovi a scuola. Inoltre, grazie ai progetti di formazione e di comunicazione nelle aziende, possiamo fare tante iniziative gratuite nelle scuole. Spesso, infine, sono proprio le imprese, con le attività che costruiamo insieme, ad aiutarci ad arrivare più lontano, entrando in mondi che diversamente non avremmo potuto abitare.

Si può parlare di un ecosistema comunicativo virtuoso?

Sì, assolutamente. La forza del nostro progetto è proprio questa: essere diventati un ecosistema. Il dialogo che portiamo avanti con le scuole, le aziende e le famiglie è continuo. E il Manifesto resta il nostro punto di riferimento: un codice semplice, condiviso e chiaro.

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