
La Florida: ambiente, maschere e comunità
Dialogo con Margherita Tassi, teatrante e performer.
Raccontaci un po’ chi sei, cosa fai, cosa ti piace.
Sono Margherita Tassi: esploro e viaggio attraverso il teatro, la danza, il movimento, la somatica, la pedagogia, l’ecosomatica, il tocco. In questo momento della mia vita vivo in Ticino da ormai sette anni e da settembre si è realizzato un grande sogno che è la Casa Laboratorio La Florida, un’oasi per artistə e umani in ricerca, una casa grande: per metà è casa mia, poi ci sono delle stanze per artistə, una cucina, un grande tavolo, una grande sala prove con un camino e il pianoforte. Qui hanno iniziato ad accadere diverse cose, tra cui corsi settimanali, formazioni, residenze per artisti e artiste. Ho ideato una piccola, enorme programmazione che ho chiamato Performare per esistere, atti di trasmissione e cura dei saperi per le arti sceniche e del movimento. Per me è molto importante che tutto ciò che è patrimonio immateriale, immaginativo e creativo possa ricevere della cura e nutrimento attraverso la trasmissione. Riunire degli esseri umani per occuparsi di tutto questo è fare umanità con l’immaginazione, è un atto politico, come lo è per me aprire la propria casa all’arte, mettendo nel mondo possibilità di incontro e di umanità: l’idea della Florida è fare l’umanità insieme.
Per te come entrano le arti performative nella relazione essere umano-natura?
La prima cosa è accorgersi che noi stessə siamo natura. Non per fingere che questa separazione non esista culturalmente, ma realmente siamo mammiferi, siamo parte di questa Terra esattamente come una fogliolina, come un leone. La cosa interessante diventa quindi quello spazio di relazione tra l’umano e l’essere vegetale. Il fatto di pensarmi ibrida o che la fogliolina là fuori è un essere ibrido, fatto di tanti arrivi, tante partenze, rende meno nitida questa separazione tra me e l’ambiente. Mi ha cambiato tantissimo sentire la terra, che è diverso da sentire la sabbia o l’acqua: tutto questo diventa un grande supporto per la creazione artistica, perché conosci diverse possibilità di risposta del tuo corpo e continui a creare memorie o a risvegliarne e il fatto di farlo in gruppo è come la bomba effervescente che metti nella vasca da bagno e fa diventare tutto profumato, frizzante, bello. Che degli esseri umani si ritrovino a praticare insieme in un bosco lo trovo di un valore inestimabile.
Questa parte di ecosomatica, centrata nel rapporto con la natura, è stato un grande capitolo degli studi degli ultimi dieci anni, più o meno. Una bella sintesi è stato il mio primo solo di teatro-danza HYBRID le sirene parlano a me, con la regia di Giuseppe Asaro: ci ho racchiuso sette anni di ricerca personale e artistica, legata alla scuola Rhizoma/le pratiche dell’ascolto, condotta da Cinzia Delorenzi. Appunto, le due sintesi principali di tutto questo sono HYBRID e il progetto dell’Arlecchino selvaggio.
Ti va di parlarci dell’Arlecchino Selvaggio?
L’Arlecchino Selvaggio è un progetto teatrale importante che nasce in dialogo con Porto Arlecchino dei maestri Claudia Contin Arlecchino e Luca Fantinutti. I prossimi appuntamenti saranno ad agosto, ottobre e probabilmente andrà avanti negli anni. L’idea è di lavorare su tre filoni: commedia dell’arte, ecosomatica, movimento con la natura. E di portare le maschere, tanto maschere tradizionali come nuove maschere e nuovi costumi che possano poi essere utilizzati in parata o in spettacolo. Uno degli archetipi dell’Arlecchino è l’Uomo Selvaggio, una figura ricorrente in tantissimi carnevali dell’Arco Alpino: Claudia e Luca hanno fatto una ricerca iconografica e antropologica pazzesca su questo personaggio. L’Uomo Selvaggio è un ribelle, un eretico, un senza patria, fecondo, fecondante, portatore di questa sapienza selvatica, di saperi caseari per esempio, con una dimensione in parte violenta, mostruosa, diabolica. In alcuni carnevali qua in Svizzera ci sono ancora famiglie che fabbricano le maschere per questa figura.
Personalmente, ho il sogno di realizzare un cammino poetico performativo sulle Alpi. Un lavoro dove possano fare crash la plastica con il tramonto a 3.000 metri e parlarci di poesia. Magari sarà l’Arlecchino che arriverà sulle Alpi. Non so, vedremo.