
La filosofia del Laser, dalla vela al lavoro
Nasceva nel 1971, quasi per scommessa, per mano di Bruce Kirby, il Laser. Doveva essere una barchetta a vela per divertirsi, che fosse possibile armare e disarmare in poco tempo, da trasportare agevolmente sul tetto dell’auto e, soprattutto, poco costosa. Il successo fu tale che, oggi, pur cambiando nome (ILCA) e pur tra tante innovazioni, il Laser è vivo e vegeto e conta oltre 224.000 barche prodotte in tutto il mondo
.
È una classe Olimpica, quindi una barca
fruibile, sì, ma non sempre così facile
da condurre: bisogna avere abilità marinaresca. Va ricordato che gran parte dei grandi campioni della vela sono cresciuti e si sono affermati proprio sul Laser. Dicevamo, una barca poco costosa. Per capirci, un’imbarcazione pronta a navigare, con tutti gli accessori, costava intorno a 5.000 euro. Una spesa in fondo abbastanza accettabile per la maggior parte delle famiglie, considerando che una barca dura diversi anni e che per le spese di trasferta ci si adatta. Uno scooter non costava molto di più e se un ragazzino o una ragazzina aveva una forte passione, poteva rinunciare allo scooter per la barca. Dicevamo anche, poco fa, che la maggior parte dei grandi campioni della vela sono cresciuti sul Laser. Interessante correlazione: a un costo accessibile era permesso, a chi aveva voglia e grinta, di diventare un
riferimento assoluto nella disciplina della vela. Già, quella vela che, come il golf o il tennis, a seconda di epoche e luoghi, diventa spesso status symbol, offre
anche spazi che consentono l’emergere di un talento autentico.
Alcuni anni fa le cose sono cambiate: a causa di vincoli legati al rispetto del libero
mercato che qui non ha senso approfondire, il monopolio produttivo è stato
aperto al mercato con un conseguente
aumento (sì, aumento, non diminuzione…)
dei prezzi. Oggi un ILCA si avvicina ai 9.000 euro, praticamente il doppio del prezzo rispetto ad alcuni anni fa.
Inevitabile che questa barriera all’ingresso si ripercuota significativamente sulla qualità degli equipaggi. In parole povere (e molto crude, lo dico da velista con
disabilità a cui la vela ha trasmesso molto)
ci chiediamo: d’accordo, a quella regata internazionale l’atleta Sofia è arrivata prima su centoventi concorrenti, ma non possiamo avere la certezza che Sofia sia la migliore! È sicuramente brava, qui non ci piove, ma se una sua avversaria fosse più brava di lei ma non avesse potuto acquistare una barca così costosa? Con questo dubbio dobbiamo imparare a confrontarci. Adesso, per la cronaca, i prezzi stanno tornando a scendere perché non tutte le famiglie possono impegnare una cifra buona per acquistare un’automobile e gli stessi cantieri stanno rivedendo i loro listini.
Ora lasciamo il nostro Laser, dopo averlo
sciacquato con l’acqua dolce, sulla riva; lo copriamo col suo telo ed entriamo in azienda. Quante volte, specie in questi
ultimi tempi, abbiamo parlato di meritocrazia, di talenti e così via? I talenti sono coloro che escono dalle migliori scuole,
ma siamo sicuri che non si stia ripetendo
la storia di Sofia? Quante ragazze e
quanti ragazzi hanno dovuto rinunciare
a certi programmi di formazione per
ragioni economiche? E dove sono, oggi, quei ragazzi e quelle ragazze? Chi lo sa… Certo è che sono stati tagliati fuori da una competizione che poteva considerarsi
inclusiva e democratica solo perché non hanno superato la barriera all’ingresso rappresentata dalle disponibilità economiche.
Chi ci garantisce che una persona che esca brillantemente da una scuola che si paga (e tanto) sia anche la più brava? Da sottolineare che anche un istituto privato può avere delle politiche che favoriscano l’accesso allo studio ma il costo di un trasferimento, ad esempio, diventerebbe comunque eccessivo per le famiglie.
Da velista, da ex istruttore di vela (non
dimenticherò mai le lacrime di una bimba che doveva cambiare sport perché i genitori
non potevano acquistarle neanche una barca usata: queste cose ti restano dentro
per sempre!), da genitore, penso che la “filosofia del Laser”, ossia dare a tutti
un gioco da giocare (e vinca davvero il migliore) sia in assoluto la massima ambizione che tutto l’ecosistema lavoro dovrebbe avere. E chi perde, in un gioco
di così alto livello, non avrà mai veramente
perso ma avrà imparato a vincere, magari la prossima regata.
Ho scelto questa foto, una flotta di barche alla partenza, perché, di coloro che sono a bordo, non possiamo sapere che poco o nulla. Anche questo rema a favore di un’inclusione intelligente, ben lontana da vuoti slogan, e che rappresenta davvero il seme di una meritocrazia riconosciuta da tutte le persone.