La detenzione in un clima che cambia

A cura di Isabella De Silvestro
13 Giu 2025

D’estate il carcere si trasforma in una trappola infernale: celle roventi, insetti, acqua razionata e ventilatori inesistenti. Il cambiamento climatico peggiora condizioni già al limite, aggravando malessere psicologico e violenze.

Nelle carceri italiane l’estate non è una semplice stagione: è un’emergenza strutturale. Le celle diventano camere a gas di umidità e sudore, in cui il sovraffollamento e il degrado infrastrutturale si combinano con gli effetti sempre più gravi del cambiamento climatico. Mentre le temperature medie salgono e le ondate di calore si intensificano, chi vive dietro le sbarre sperimenta le conseguenze più estreme dell’ingiustizia ambientale.

Le strutture penitenziarie, molte delle quali risalenti al secolo scorso, non sono pensate per affrontare il caldo torrido. I muri spessi, le finestre schermate da grate, la scarsità di ventilazione e le porte blindate impediscono il passaggio d’aria, trasformando le celle in forni. Aprire le finestre serve a poco: l’aria è stantia, l’umidità imperversa, muffe e acari proliferano. L’aumento delle temperature, unito all’incuria cronica, favorisce la diffusione di parassiti e malattie cutanee come la scabbia. Le blatte invadono le celle. Le punture delle zanzare coprono la pelle di chi dorme con il naso a pochi centimetri dalla branda superiore o dal soffitto, spesso in due, quattro, sei persone stipate nella stessa stanza.

La doccia è un privilegio raro: secondo i dati dell’associazione Antigone, il 57% delle celle ne è privo, nonostante un regolamento del 2000 imponesse la loro installazione entro cinque anni. In molte carceri decine di persone devono spartirsi un paio di docce, spesso malfunzionanti e ricoperte da muffa. A Santa Maria Capua Vetere per venticinque anni è mancato addirittura l’allaccio alla rete idrica e dunque l’acqua per i detenuti era razionata: quattro bottiglie al giorno a persona. Ma la crisi idrica non è più un evento eccezionale: è un fenomeno ricorrente, acuito dai cambiamenti climatici che rendono più frequenti i periodi di siccità. Eppure, le amministrazioni non sembrano attrezzarsi in modo strutturale.

In questo contesto, anche il diritto alla salute è compromesso. Il cibo che le famiglie fanno arrivare si guasta velocemente per la mancanza di frigoriferi. I detenuti dormono su materassi zuppi di sudore, che lavano a mano quando possibile. I ventilatori, se ci sono, sono pochi e regolati da norme stringenti: quelli con pale rotanti sono vietati per ragioni di sicurezza, quelli a batteria sono difficili da trovare e inutilizzabili dove mancano le prese di corrente. Risultato: solo una minoranza riesce a ottenere un minimo di sollievo.

Il momento del passeggio, unica occasione per uscire dalla cella, si svolge in cortili di cemento privi di ombra o verde. Chi può affronta il caldo a petto nudo, bagnandosi con bottigliette d’acqua. Gli anziani spesso rinunciano: uscire sotto il sole cocente delle due del pomeriggio può essere più dannoso che restare in cella. Anche la scuola è chiusa, come i laboratori e i corsi. Le volontarie e i volontari che entrano sono pochə. L’agosto carcerario è un tempo immobile, in cui ogni attività cessa e l’unico orizzonte è resistere.

Il caldo non è solo disagio fisico. Aumentano lo stress, l’aggressività, l’insonnia, l’ansia. E significa più risse, episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio. Secondo i dati del Consiglio d’Europa, l’Italia è tra i Paesi con il più alto tasso di suicidi in carcere: l’incidenza è sedici volte superiore rispetto all’esterno. Il peggioramento delle condizioni ambientali, con estati sempre più calde e prolungate, impone di pensare le carceri come spazi che devono garantire diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla dignità. Le famiglie dei detenuti e delle detenute, spesso le uniche a mantenere viva una relazione con l’esterno, affrontano anch’esse un’ulteriore pena. Durante l’estate, attendono per ore sotto il sole il proprio turno per i colloqui. Raramente esistono spazi d’attesa ombreggiati o dotati di condizionamento. La detenzione, così, oltre a essere pena personale, si estende e coinvolge l’intero nucleo affettivo.

Riflettere sulle carceri oggi significa quindi parlare di giustizia climatica. Il cambiamento ambientale non è neutro: colpisce con maggiore violenza chi è già in condizione di marginalità, chi non ha voce, chi non può scegliere. In carcere il clima si fa gabbia nella gabbia. E l’urgenza di un cambiamento strutturale non può più essere rimandata.

Leggi questo numero
Registrazione Tribunale di Bergamo n° 04 del 09 Aprile 2018, sede legale via XXIV maggio 8, 24128 BG, P.IVA 03930140169. Impaginazione e stampa a cura di Sestante Editore Srl. Copyright: tutto il materiale sottoscritto dalla redazione e dai nostri collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione/Non commerciale/Condividi allo stesso modo 3.0/. Può essere riprodotto a patto di citare DIVERCITY magazine, di condividerlo con la stessa licenza e di non usarlo per fini commerciali.
magnifiercrosschevron-down