
Jacopo Parizzi, imparare a nuotare anche nelle correnti più forti
Jacopo Parizzi è un dirigente dell’azienda Roche, un determinato nuotatore paralimpico ma, prima di ogni cosa, un marito e papà. A causa di una rara patologia genetica neurologica (diagnosticata a 6 anni) ha perso l’uso dei muscoli sotto le ginocchia e di alcuni delle mani. Nel 2024 ha percorso lo Stretto di Messina a nuoto.
Cosa ti ha spinto a scegliere il nuoto?
Il nuoto è stato il mio primo sport e amore; solitamente viene scelto come attività d’elezione per le persone con disabilità, ma quando sei adolescente non vuoi fare uno sport perché fa bene alla tua malattia ma perché ti piace. Ho praticato diverse attività ma quando convivi con una patologia degenerativa impari ad assecondare ciò che il tuo corpo ti permette di fare e, quando ho capito che stavo sovraccaricando ingiustamente le gambe, ho realizzato che era il momento di tornare in acqua. Per me è una grande passione, soprattutto il nuoto in acque libere che è molto diverso dal nuoto in piscina.
Sei ambasciatore di Bionic People: ci racconti qualcosa di più?
L’incontro con Bionic People è avvenuto dopo il Covid, in un momento di profonda riflessione: solito com’ero a non stare mai fermo, mi sono trovato a guardarmi con un occhio a cui non ero abituato. È stata quindi l’occasione per spostare quello sguardo, che si stava concentrando sempre più sulla disabilità, verso la dis-abilità dove la seconda parte della parola diventava sempre più forte. Stare a contatto con ragazzi e ragazze che convivono con una difficoltà fisica e che hanno trovato il modo di disegnare il quadro più bello della loro vita è stato un momento di svolta personale. In generale, Bionic People spinge verso l’inclusione e l’importanza dello sport nella vita di chiunque conviva con una difficoltà fisica.
Il nuoto è mai stato per te uno strumento di espressione ed evoluzione personale e lavorativa?
Lo sport è sempre stato parte integrante della mia vita per quanto non sia la mia attività principale: è solo una delle cose che faccio. Ogni volta che ho praticato uno sport l’ho sempre fatto cercando di pormi degli obiettivi ed è così anche nella vita. Il mio punto di forza (e limite) è approcciare qualsiasi cosa con l’ambizione di raggiungere un traguardo. Nella sfera personale, il nuoto è sicuramente un modo per ritagliarmi del tempo e questa caratteristica la ritrovo anche nella sfera lavorativa: essendo responsabile di un gruppo in Roche, il fatto che riesca a dedicare del tempo al nuoto, senza interferire con l’attività lavorativa e con quella di papà/marito, dà l’esempio di balance tra vita privata e lavorativa.
Ti è mai capitato di portare sul posto di lavoro qualche qualità o attitudine scoperta durante le tue sessioni di nuoto?
Sicuramente l’ambizione, la costanza, l’importanza del sacrificio e delle priorità, ma anche il tema dell’accettazione. Anni fa mi allenavo con ragazzi non disabili, vivendo una specie di paradosso. Quando entri a contatto con realtà come Bionic People e con il mondo paralimpico ti rendi conto che non c’è niente di più bello che accettare il proprio limite e vivere la propria genuinità. Questo è uno dei concetti principali che cerco di portare anche nel mondo del lavoro in generale, un ambiente dove spesso non c’è spazio per la debolezza e la vulnerabilità.
Nel 2024 hai attraversato a nuoto lo Stretto di Messina: è questo il tuo successo sportivo più grande?
La traversata dello Stretto è stata un successo sotto molti punti di vista. Quello sportivo è solo uno dei tanti, forse neanche il principale. Prima di tutto mi ha insegnato l’importanza dell’organizzazione del tempo, per essere stato in grado di incastrare gli allenamenti senza sacrificare altri aspetti della mia vita. C’è poi il tema della costanza, della determinazione, della fiducia nelle altre persone e dell’uguaglianza: quel giorno in acqua eravamo tuttə ugualə.
Relativamente all’accessibilità nel mondo dello sport, quale messaggio vorresti trasmettere alle giovani generazioni, tua figlia e tuo figlio compresə?
Ripensando alla mia esperienza personale, probabilmente ciò su cui è ancora necessario lavorare è la promozione dell’accessibilità alle attività sportive sin dall’infanzia. Ciò che vorrei trasmettere è l’importanza di accettare noi stessə per trovare la propria strada. Se io non accettassi la mia patologia e mi mettessi in testa che voglio fare il calciatore, vivrei una vita di depressione. La capacità di guardarsi e capire qual è la cosa più bella che possiamo realizzare con ciò che abbiamo è fondamentale.