Il rischio climatico è anche un rischio umano

A cura di Sarah De Rocco, Chief Commercial Officer, Marsh McLennan Italia
12 Giu 2025

Per le aziende la resilienza parte dalla protezione delle persone.

La crisi climatica non è più solo ambientale: è una crisi delle persone. Secondo il World Economic Forum e Oliver Wyman (società di consulenza strategica che fa parte del gruppo Marsh McLennan, insieme a Marsh, Guy Carpenter e Mercer), entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe causare 14,5 milioni di morti aggiuntive e perdite economiche per oltre 12.500 miliardi di dollari. Gli effetti si vedono già: due terzi dei datori di lavoro riferiscono impatti sul personale dovuti a eventi meteo estremi e un/a lavoratore/lavoratrice su cinque ha subito danni alla salute. Ansia, depressione e stress post-traumatico seguono spesso questi eventi. Eppure, solo il 4% degli employer ha valutato quali dipendenti sono più esposti o esposte, a fronte di un 77% già colpito.

Il rischio climatico amplifica anche le disuguaglianze sociali. Le persone più vulnerabili – per reddito, età o salute – sono le più esposte. Molte lavoratrici e lavoratori non hanno reti di sicurezza adeguate: oltre la metà non ha copertura sanitaria aziendale e il 21% non può permettersi spese mediche importanti. In Italia, il protection gap medio tra lavoratori e lavoratrici ad alto e basso reddito è del 9% (12% in ambito sanitario), superiore alla media europea. È rilevante notare che per quanto attiene ai core benefit legati alla salute e alla protezione del reddito, poi, solo 1 lavoratrice/lavoratore su 4 (poco più alto in Europa) in genere beneficia di coperture assicurative che tutelino il nucleo familiare per il decesso, l’invalidità permanente e la malattia grave del o della dipendente.

Per le aziende, tutto questo si traduce in un rischio organizzativo: un evento estremo può bloccare impianti e ridurre la produttività. A 38 °C, chi lavora all’aperto può perdere fino al 70% di efficienza. I e le dipendenti in ambienti climatizzati, invece, affrontano costi sanitari mediamente inferiori del 40%. Settori come agricoltura ed edilizia rischiano di sostenere costi sanitari doppi a causa del clima. Anche se non si opera in settori direttamente esposti, i rischi lungo la filiera sono reali. Oltre alle responsabilità datoriali e di committenza, nonché ai riflessi etici che la protezione delle persone fragili implica nelle decisioni aziendali, il caldo estremo, ad esempio, compromette la capacità lavorativa in fabbriche e campi e riduce la produttività in edilizia e logistica, con un inevitabile effetto a catena. L’analisi della supply chain si limita solitamente alla valutazione dei rischi più tradizionali, come quelli di tipo geopolitico o la presenza di possibili colli di bottiglia e in genere si concentra sul primo livello di fornitura con difficoltà nel pieno controllo delle informazioni per i livelli successivi. Le aziende hanno quindi un pericoloso punto cieco nella resilienza. La spinta normativa inoltre muove nella direzione della creazione di una maggiore consapevolezza attorno a questi temi, nonché verso una maggiore trasparenza nelle filiere che spingerà le aziende a colmare questa lacuna.

È quindi necessario integrare la dimensione “people” nella gestione del rischio climatico, nella strategia HR e nei piani di business continuity. Serve un passaggio dalla reazione all’azione anticipata. Le organizzazioni più resilienti già si attrezzano: creano task force, coinvolgono i e le dipendenti e pianificano scenari. La pandemia ha mostrato che investire in sicurezza e benessere prima della crisi è strategico – lo stesso vale per gli effetti del clima sulle persone.

Alcune aziende stanno sperimentando soluzioni innovative. Marsh McLennan, insieme a Blue Marble, ha sviluppato coperture parametriche per oltre 13.000 piccoli agricoltori in Africa, Asia e America Latina. Nel 2023, ha anche avviato un progetto con la Self-Employed Women’s Association of India, che ha fornito indennità a più di 21.000 donne durante le ondate di calore, per compensare la perdita di reddito derivante dal mancato lavoro e incentivare la protezione della salute. 

Altre imprese stanno colmando il protection gap ampliando i benefit core e introducendo nuove forme di tutela, come coperture assicurative per eventi naturali catastrofici. Le aziende devono includere questa dimensione nella governance dei benefit a livello globale e nei sistemi di protezione e assistenza ai lavoratori e alle lavoratrici.

In conclusione, il clima è un rischio umano a tutti gli effetti. Solo così si protegge la risorsa più preziosa – le persone – salvaguardando produttività e continuità operativa. Chi agisce ora costruisce un vantaggio competitivo: organizzazioni resilienti, capaci di prosperare anche nell’incertezza.

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