IL PIÚ VECCHIO ATTIVISTA LGBTQ+ DEL PORTOGALLO
António Serzedelo avrebbe davvero voluto sposarsi. Con una ragazza.
“Lei mi piaceva molto, era carina e gentile, ma mi attraevano anche gli uomini. Decisi di confidarglielo. Lei mi disse: ‘non preoccuparti, so di un medico che ti può aiutare”, mi ha raccontato al telefono.
Il medico era uno psichiatra di Lisbona e l’aiuto che poteva fornire era una sessione di elettroshock.
“Feci quasi due mesi di trattamento, di mia spontanea volontà. Funzionava così: quando il dottore mi faceva vedere un uomo e una donna insieme, la sensazione era piacevole. Quando l’immagine mostrava un uomo con un altro uomo, le scosse diventavano intense, fastidiose. Niente a che vedere con l’elettroshock che si vede nei film, ma comunque una sensazione sgradevole”
Alla visita di controllo, qualche mese dopo, António confessò al dottore che non era cambiato nulla: continuava a essere attratto dagli uomini.
“Tu sei incurabile”, gli rispose il medico.
Alla fine, António si sposò con una ragazza.
“Non con quella con cui stavo all’inizio: con lei siamo rimasti amici per tutta la vita, è mancata qualche anno fa. Mi sono sposato qualche anno dopo con un’italiana. L’ho conosciuta mentre stavo facendo un reportage su un gruppo di militanti comunisti: voleva disperatamente la nazionalità portoghese e il matrimonio era la via più veloce per ottenerla”, mi ha spiegato António, che ha divorziato da lei una trentina di anni fa.
Nel mezzo, tra un quasi matrimonio e l’altro, António si dedica all’attivismo. “Ho iniziato negli anni Settanta, militando nel Movimento Democrático Português, una delle poche organizzazioni politiche che all’epoca si opponeva al regime di Salazar”. Il momento che lui e i suoi amici aspettavano arriva con la Rivoluzione dei Garofani.
“Ricordo benissimo che a qualche giorno dal 25 aprile 1974 decidemmo di scrivere un testo e inviarlo a due grandi giornali del Paese, il Diário de Lisboa e il Diário Popular”.
Il manifesto «Liberdade para as Minorias Sexuais» è il primo manifesto omosessuale della storia del Portogallo.
Al suo interno, il giovane Movimento de Ação Homossexual Revolucionária, di cui António è l’unico dei membri ancora in vita, chiede la decriminalizzazione dell’omosessualità e rivendica il diritto delle persone omosessuali di partecipare al processo democratico.
Pubblicato il 13 maggio 1974, il manifesto fu uno scandalo.
In risposta, qualche giorno dopo, il generale Galvão de Melo, membro del comitato di ufficiali scelto per governare in maniera provvisoria il Portogallo, disse in televisione che la Rivoluzione dei Garofani non era stata fatta per dare quel tipo di libertà a “prostitute e omosessuali”.
Fino a quel momento, essere omosessuale in Portogallo voleva dire soprattutto rischiare di essere internato in “strutture di rieducazione”, ovvero manicomi o campi di lavoro forzato.
La struttura più conosciuta era il Palácio da Mitra, dove tra il 1933 e il 1951 furono rinchiuse e maltrattate più di 12mila persone (incluse persone senza dimora e con altre malattie mentali - dato che l’omosessualità era considerata una patologia).
Le persone più giovani finivano invece a Casa Pia: nel 2002, un’indagine giornalistica ha portato alla denuncia di centinaia di episodi di abusi sui minori (e al processo più lungo della storia del Portogallo).
Per questo, essere omosessuale voleva dire abitare un mondo segreto. Un mondo fatto di pochi luoghi: la strada, soprattutto, e qualche caffè come il Montecarlo, il Monumental o la Brasileira (oggi più conosciuto come luogo di culto per chi ama lo scrittore Fernando Pessoa).
Un mondo senza nomi, per non rischiare di mettersi in pericolo a vicenda, dove chiedere una sigaretta o un accendino era un messaggio in codice.
E dove, se la tua famiglia era ricca, qualche banconota agli agenti di polizia faceva la differenza tra la libertà e la “rieducazione”.
Per vedere i risultati dei suoi sforzi, António e i suoi amici dovettero aspettare fino al 1982, quando il Portogallo rivedette la sua Costituzione e l’omosessualità smise di essere un reato.
“Qualche anno dopo, nel 1997, ho fondato la mia associazione, Opus Gay, che oggi si chiama Opus Diversidades: il nome è un chiaro riferimento all’Opus Dei, l’istituzione religiosa ultraconservatrice che così poco vorrebbe avere a che fare con le persone omosessuali”, mi ha raccontato António, che due anni dopo ha dato vita anche al primo programma radiofonico a trattare tematiche LGBT+ in Portogallo, chiamato Vidas Alternativas.
Nello stesso periodo, António, oltre a lavorare come professore e giornalista, ha sostenuto numerose altre cause, dai diritti delle persone palestinesi alla lotta all’apartheid, passando per l’aborto, il contrasto alla violenza sulle donne e quello alla pedofilia.
“Oggi mi interessano soprattutto i diritti delle persone anziane. Molti giovani portoghesi se ne vanno, studiano all’estero e poi ci restano. Noi vecchi restiamo e lottiamo contro il fascismo, perché sappiamo cos’è stato. Io, almeno, continuerò a farlo finché sarò in vita”.
NEL 2010, IL PAESE HA APPROVATO IL MATRIMONIO TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO E, CINQUE ANNI DOPO, L’ADOZIONE E L’AFFIDO DA PARTE DI COPPIE OMOSESSUALI.
DAL 2016, TUTTE LE DONNE PORTOGHESI POSSONO ACCEDERE ALLA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA, A PRESCINDERE DAL LORO ORIENTAMENTO SESSUALE E IL LORO STATO CIVILE.