
Il coraggio di premiare
Sono tanti i misunderstanding riguardo al merito.
Spesso viene confuso con il talento, al singolare. Quello che si addice ai cosiddetti high potential, quindi un qualcosa peraltro ricevuto in dote – e non conquistato – da poche persone. Non è così. La realtà è fatta da una pluralità di talenti e ciascuno e ciascuna di noi ne è una combinazione unica. E, in ogni caso, quel potenziale con cui si nasce non è sufficiente di per sé, ma ha bisogno di un contesto in cui qualcunə ci dia fiducia, ci aiuti a vedere le nostre attitudini e riconosca la nostra capacità di diventare. Solo a tali condizioni, saremo spintə a credere alla vocazione che ci anima e a metterla a frutto, per dare il nostro miglior contributo al mondo. Ecco perché è sbagliato confondere il merito con la cultura della performance, un’esaltazione delle qualità dell’individuo che alimenta il mito del successo individuale. Si tratta di un equivoco: se fossimo onestə, dovremmo riconoscere che ogni nostro passo è il frutto di una serie di persone che ci hanno permesso di costruire la nostra storia. E come altrə ci hanno aiutato a diventare quello che siamo, noi stessə abbiamo il dovere di fare lo stesso con le persone più giovani. E, a volte, anche con chi è meno giovane, perché sappiamo che a età diverse emergono talenti diversi, in una continua, affascinante, ricerca di noi. Quindi, il merito è una categoria profondamente sociale. Sono tanti i misunderstanding anche riguardo alla meritocrazia. Spesso viene considerato un meccanismo atto a costituire élite e lobby, che difendono se stesse e i privilegi acquisiti, escludendo tutti gli altri. Non è così. È esattamente il contrario. Il sistema meritocratico serve a favorire giustizia e mobilità sociale, perché è teso a creare pari accesso alle opportunità – di studio, di lavoro, di sanità, etc. – per tutte le persone o perlomeno per quante più possibili, indipendentemente dalle condizioni di origine. A tale principio se ne devono aggiungere altri due, però: il criterio di selezione e avanzamento nelle carriere deve essere legato alle competenze (non per anzianità e relazioni) e le posizioni decisionali devono essere assegnate secondo equità (non per appartenenze a interessi costituiti o per clientelismo). Detto questo, affinché non si creino distorsioni, è necessario che le regole del gioco non siano truccate, siano trasparenti e applicate in egual modo a tutte le persone. Come è necessario che siano previsti accorgimenti affinché chi raggiunge le posizioni decisionali non ne approfitti, creando una casta. Sono queste le condizioni che creano un ecosistema sano ed equo, in cui le aspettative di chi si impegna trovino soddisfazione e vengano premiate, in cui le persone giuste siano nei posti giusti, in cui si possa nutrire fiducia nelle competenze di un medico, di un’amministratrice pubblica, come di un manager, in virtù della sua preparazione e affidabilità. È su queste basi che si sviluppa quel capitale sociale che rende salda una società. Ebbene, l’Italia, da dieci anni si trova in fondo alla classifica dei 12 Paesi della vecchia Europa, secondo l’indicatore scientifico Meritometro, ideato nel 2015 dal Forum della Meritocrazia ETS in collaborazione con l’Università Cattolica, e i risultati si vedono ovunque. Basti guardare gli ultimi dati Istat, che registrano nel 2024 il valore più elevato finora osservato negli anni Duemila di emigrazioni verso l’estero, aumentate del 20,5% rispetto all’anno precedente, perlopiù di persone provenienti dalle regioni del Nord, le più ricche del Paese, e dirette in Germania, Spagna e Regno Unito. Come dare loro torto? Questi sono i risultati di una cultura dell’egualitarismo – e non dell’uguaglianza – che sta mietendo le energie vitali del Paese. Per fortuna, alcune risposte incoraggianti da parte di realtà perspicaci ci sono, ma l’esperienza più promettente è quella ecosistemica della Regione Emilia-Romagna, che ha emanato la prima legge quadro di attrazione, permanenza e valorizzazione di talenti a elevata specializzazione sul territorio. Entrata in vigore a inizio 2023, sta impegnando tutta la rete degli stakeholder locali per creare un sistema integrato di servizi pubblici e privati teso ad attirare e accogliere chi – con background italiano o straniero, con relative famiglie – ha interesse a formarsi e lavorare nell’area padana. Si tratta di una rivoluzione dell’approccio della Pubblica Amministrazione al mondo del lavoro, dove sinora l’impegno e le risorse sono state perlopiù destinate al supporto di persone in difficoltà. Ora, si affianca a tali misure un’attenzione inedita alle alte professionalità, che può innescare un circolo virtuoso per tutte le persone, rendendo più dinamico e innovativo il mondo del lavoro grazie alla circolarità delle competenze.