EDUCARE AL CONSUMO FIN DALL’INFANZIA
Le bambine e i bambini sono da tempo consumatori e consumatrici, soggetti del mercato proprio come le persone adulte, attratte dai beni e acquirenti degli stessi attraverso la mediazione deglɜ adultɜ che si occupano di loro e della loro crescita.
Ciò avviene innanzitutto perché le bambine e i bambini naturalmente acquisiscono i valori e le pratiche culturali del proprio contesto di vita, comprese quelle legate agli acquisti e ai consumi così come essi vengono interpretati nella loro famiglia e nelle società cui appartengono. La conoscenza, i linguaggi e le dimensioni del consumismo maturano fin dalla prima infanzia in esperienze spesso inconsapevolmente indotte daglɜ adultɜ di riferimento, in una banale visita al supermercato con ɜ proprɜ figlɜ o durante gli acquisti online sul divano di casa o nelle conversazioni sui cibi preferiti e sui saldi, lungo la raccolta punti dei molti supermercati che assicurano premi per tuttɜ, per adultɜ e bambinɜ, ma anche per i nidi e per le scuole che frequentano. Accanto a ciò, i brand esercitano ovviamente grande potere nella quotidianità di bambine e bambini, che a loro volta svolgono un ruolo fondamentale nel rapporto tra il mercato e la famiglia.
Negli Stati Uniti, ovvero in una delle società tradizionalmente più orientate al consumismo e al mercato, all’inizio del secolo scorso, cataloghi di giocattoli ed esposizioni dedicate esclusivamente a bambine e bambini erano già diffuse in vari centri commerciali, mentre pubblicità venivano loro rivolte nelle stazioni radiofoniche prima e nei programmi televisivi poi.
Proprio attraverso l’inserzione di spot pubblicitari in programmi televisivi per bambinɜ a metà del secolo scorso, come quelli dei cereali per la colazione o di alcune bambole, il fenomeno del marketing rivolto a bambinɜ e famiglie iniziava a influenzare gli acquisti. Oggi il fenomeno di commercializzazione dell’infanzia è cresciuto enormemente e si è modificato: l’industria del consumo e le attenzioni del mercato sono incessantemente rivolte a gusti, bisogni, linguaggi e desideri dell’infanzia e dell’adolescenza nonché alle abitudini e alle motivazioni di acquisto dei loro genitori, che tendono spesso a considerare ɜ proprɜ figlɜ come un prolungamento di sé o una propria miniatura e ad attribuirsi cause e colpe di ogni loro comportamento o esperienza.
Ciò ha reso il marketing più forte e disinibito.
Le strategie di marketing rivolte a bambinɜ e famiglie sono orientate a sedurlɜ e a fidelizzarlɜ in relazione a una pluralità di prodotti e ambiti, non solo giocattoli e cibi ma anche prodotti librari e dell’editoria, cartoleria, abbigliamento, cinema ed entertainment, tecnologia, arredi, automobili, divertimento e turismo.
Attraverso spot pubblicitari e brand storytelling che combinano prodotti, emozioni, immaginazione, umorismo, fantasie (per es. di indipendenza daglɜ adultɜ, di maggiore accettazione e riconoscimento da parte deglɜ altrɜ, di accumulo ingente di giochi e oggetti, di celebrità e di successo…), le industrie produttrici e le agenzie pubblicitarie incoraggiano oggi bambine e bambini ad assillare i propri genitori per ottenere uno specifico bene di consumo desiderato sotto la spinta di uno spot pubblicitario, a divenire o almeno a seguire lɜ molti baby influencer dai fatturati milionari, a mangiare cibo spazzatura, ad acquistare un gioco o un articolo di abbigliamento o uno smartphone che lɜ faccia sentire felici o migliori, finanche più potenti di fronte aglɜ adultɜ che negano proprio quello specifico acquisto.
I rischi di tali pubblicità sono ovviamente molti e riguardano, per esempio, la salute di bambine e bambini, la loro socialità e le loro esperienze emotive e di apprendimento, le loro rappresentazioni (di sé, di famiglia, di amicizia, di società), i loro stereotipi e modelli da imitare, nonché l’espansione dei rischi ormai noti da sovraesposizione agli schermi e al digitale.
Di fronte a tali rischi e all’espansione massiccia delle strategie comunicative e di marketing sempre più capaci di convincere al consumo bambinɜ e famiglie e di commercializzare l’infanzia, il ruolo dell’educazione appare cruciale per rendere – in primis nelle scuole e nelle case - bambine e bambini sempre più consapevoli e critici circa il fenomeno del consumismo.
Ciò richiede a genitori e insegnanti di non arrendersi all’idea che bambine e bambini abbiano naturali propensioni per marchi, mode e consumi: è invece necessario trovare spazi di dialogo, di gioco, di studio e di riflessione critica su essi, per discutere il rapporto tra il valore simbolico, affettivo ed economico di un oggetto insieme ai significati e ai meccanismi della sua pubblicità, educando al consumo sostenibile fin dalla prima infanzia.