Dallo sport, lezioni per la leadership femminile

Rubrica QUESTIONI DI GENERE
A cura di Alessia Mosca
19 Mar 2025

Buttare una palla a canestro. Correre dietro a un dischetto. Passarsi il testimone lungo la pista. Prepararsi a una gara richiede allenamento, rispetto delle regole e anche abitudine alla sconfitta. Certo fa bene al fisico e coltiva la capacità di reagire alle sfide nella vita - specialmente delle ragazze e delle persone giovani. Ma può aiutare anche a diventare leader di successo.

Molti studi confermano che lo sport e la competizione possono contribuire a costruire o consolidare caratteristiche di leadership chiave nei percorsi di crescita professionale. Delle donne soprattutto. Lo affermava poi a chiare lettere una ricerca EY di qualche tempo fa: la partecipazione a uno sport contribuisce a far crescere le ragazze “sane e sicure di sé”. Aiuta le giovani professioniste ad affermarsi. E gioca un ruolo importante nel loro percorso verso posizioni di comando. Secondo lo studio, infatti, il 94% delle top manager che ricoprono ruoli al massimo livello di responsabilità delle aziende ha praticato uno sport competitivo da ragazza.

Che sia questa una prova che lo sport supporta carriere brillanti? Difficile dirlo con certezza matematica, ma certo proprio l’abitudine alla competizione, la determinazione e una forte etica del lavoro, insite nella pratica sportiva, rappresenterebbero le basi del vantaggio che caratterizza le atlete in una (eventuale) carriera.

Ovviamente parliamo di componenti di un insieme. Non si possono certo ridurre tragitti fatti di una miriade di scelte, incognite, attitudini personali e opportunità, solo a questo, quasi si trattasse di un incantesimo onnipotente – farlo sarebbe una semplificazione estrema oltre che scorretta. Certo però è chiara la quantità di benefici che la pratica sportiva offre. Sottolineavano le Nazioni Unite: «La partecipazione di donne e ragazze allo sport sfida gli stereotipi e le discriminazioni di genere e può quindi essere un veicolo per promuovere l’uguaglianza e l’empowerment. In particolare, la leadership delle donne nello sport può modellare gli atteggiamenti verso le (loro) capacità come leader e responsabili delle decisioni, soprattutto nei settori tradizionalmente maschili».

Oggi i numeri testimoniano il crescere dell’interesse verso la pratica sportiva a partire dalle giovanissime. Aumento accompagnato da maggiore e migliore accesso alle discipline e alle strutture. Una parte di questo è sicuramente riconducibile alla maggiore copertura mediatica di alcuni sport declinati al femminile, a partire dal calcio. E al successo delle Olimpiadi di Parigi, le più paritarie della storia. Ma un’altra componente cruciale è rappresentata dall’emergere imponente di figure carismatiche, ormai cementate nell’immaginario collettivo.

Profili come le sorelle Williams negli Stati Uniti o Jasmine Paolini e Sara Errani in Italia, per esempio, continuano a giocare un ruolo cruciale nell’ispirare schiere di ragazze a impugnare la racchetta. I successi di Federica Pellegrini a portare molte ragazze in vasca. E le vittorie di Federica Brignone a mettere gli sci ai piedi.

Quando parliamo di parità di genere, non possiamo affermare che tutte le questioni siano risolte, nemmeno nello sport, anzi. Non possiamo neanche dichiarare profondamente cambiati gli atteggiamenti discriminatori e le visioni stereotipate verso le sportive stesse. Chiaro è però che una maggiore esposizione e coinvolgimento delle giovani alla pratica sportiva può aiutare a consolidare alcuni atteggiamenti di leadership solidi perché fondati su competenza, entusiasmo e allenamento alla sfida. Per prendere decisioni anche contro le imposizioni culturali predominanti – spesso ancorate ancora a successi maschili.

«I’m not the next Usain Bolt or Michael Phelps. I’m the first Simone Biles» diceva quasi 10 anni fa la campionessa statunitense all’alba della sua carriera stellare. Un monito per indirizzare le energie sul proprio percorso. Al pari di come ci si prepara per una gara.

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