
DA PRODOTTI A SIMBOLI
“NO LOGO” è un saggio scritto da Naomi Klein, una giornalista brillante e visionaria. È stato pubblicato per la prima volta nel 1999, ed è un’opera critica che analizza l’evoluzione del capitalismo nelle sue forme post-moderne.
LA CULTURA E IL POTERE DEL BRANDING
Una delle tesi centrali è che le aziende moderne non vendono semplicemente prodotti, bensì idee, stili di vita, posizionamento sociale e identità attraverso i loro marchi. Infatti, Klein analizza – anche storicamente – come le corporazioni abbiano spostato il loro focus dalla produzione di merci alla produzione di immagini.
I logo sono divenuti sempre più un’ossessione a partire dagli anni ’80 e ‘90, quando hanno assunto il valore di simboli culturali potenti e hanno iniziato ad agire sul lato emotivo di consumatori e consumatrici (un esempio lampante è l’aver iniziato a dare nomi propri ad oggetti di uso comune).
Le conseguenze sono dannose e ben chiare: un vero e proprio passaggio dall’oggetto – il contenuto – all’immagine, cioè all’apparenza. Questo ha portato a fenomeni complessi che hanno poi modificato le strutture delle nostre società, abitudini, paesaggi, usi e costumi di intere civiltà, e il modo stesso in cui percepiamo il mondo. In una parola si potrebbe riassumere in consumismo.
GLI EFFETTI NEGATIVI: SFRUTTAMENTO DELL’AMBIENTE E DELLA MANO D’OPERA
Uno dei punti focali dell’analisi riguarda le condizioni di lavoro nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”. Klein denuncia le pratiche di outsourcing e delocalizzazione delle multinazionali, che cercano di ridurre i costi di produzione trasferendo le fabbriche in Paesi dove i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici sono spesso inesistenti. Le fabbriche, o “sweatshop”, dove lavorano adultɜ e bambinɜ in condizioni precarie, rappresentano uno degli aspetti più inquietanti del capitalismo globalizzato.
Non solo, analizza anche l’influenza sulle identità culturali e individuali: le strategie di marketing non si limitano a vendere prodotti, ma modellano i valori e le aspirazioni delle persone. I cartelloni pubblicitari hanno colonizzato spazi pubblici e privati e la mercificazione di ogni aspetto della vita quotidiana ha portato a una crescente alienazione e a una perdita di autenticità; “è evidente che viviamo in una vita sponsorizzata”.
Per non parlare dell’impatto ambientale, dell’inquinamento e dello spreco di risorse della sovrapproduzione. Klein, infatti, sostiene che una forma di resistenza debba essere interconnessa ai principi di giustizia ambientale.
PRATICHE DI “RESISTENZA GLOBALE”
Klein non si limita a criticare il sistema, ma evidenzia anche le forme di resistenza che sono emerse in risposta a queste pratiche. Si parla di una vera e propria “Resistenza globale” fatta di boicottaggi, proteste e iniziative di sensibilizzazione che sfidano il potere delle multinazionali. In ciò, il mondo digitale ha avuto un ruolo cruciale. Basti guardare al movimento Occupy Wall Street, che ha utilizzato i social media per diffondere il messaggio della lotta contro le disuguaglianze economiche; oppure il movimento #MeToo, che ha portato alla luce le esperienze di violenza e discriminazione di genere, influenzando politiche e comportamenti aziendali.
Ci sarebbe moltissimo da dire, “No Logo” di Naomi Klein rimane un saggio cruciale per chiunque voglia comprendere le dinamiche del capitalismo moderno e ci invita a riflettere sul nostro ruolo di consumatori e consumatrici in relazione all’impatto delle nostre scelte su scala globale.