Com’è cambiato il giornalismo sportivo per Simona Larocca: «Oggi più opportunità per le donne, ma le generazioni future necessitano di percorsi di crescita».

A cura di Elisa Belotti
19 Mar 2025

Se si parla di sport e diversity, si pensa soprattutto alle atlete e agli atleti. Eppure, un ruolo significativo è ricoperto anche da chi racconta lo sport, come Simona Larocca, giornalista capo servizio per Sky Sport, che ha visto cambiare questo settore, in particolare in merito alla presenza delle donne.

Simona, lei si è costruita una carriera nel giornalismo sportivo. Com’è arrivata a questo settore? Qual è il suo rapporto con lo sport?

Ho sempre avuto una grande passione per lo sport, ma praticato da altre persone perché sono pigra. E a pensarci, per certi versi è paradossale, vista la mia attenzione verso qualsiasi disciplina sportiva. L’unica eccezione è stata il calcio, che ho praticato negli anni dell’adolescenza, in una piccola squadra della provincia di Milano. La squadra si chiamava Dresano Calcio Femminile e a quei tempi - stiamo parlando di almeno 40 anni fa - era una novità assoluta.

Durante quegli anni mi sono anche appassionata alla scrittura sportiva e ho cominciato a seguire le trasmissioni sportive del tempo. Su tutte 90esimo minuto. Ricordo che fantasticavo di condurre un giorno il programma o commentare le partite. 

La fantasia, durante gli anni delle superiori, è diventata in piccolo una realtà. 

Mi sono chiesta: come fare il primo passo? E la
risposta è stata collaborando con un settimanale
locale che si occupava, tra i vari argomenti, di cronaca
sportiva dei campionati locali. Così, per gioco e per scommessa, ho cominciato a collaborare per il
quotidiano sportivo Lodi Sette, per il quale seguivo il campionato di Fanfulla e Sant’Angelo, due storiche
società della zona.

Mi piace sempre pensare e soprattutto ricordare
che dai racconti bianconeri del Fanfulla, dopo anni, sono passata ad altri racconti bianconeri: quelli della Juventus. Ci tengo a sottolineare una cosa: per il nostro mestiere (e non solo) la gavetta è
fondamentale.

Durante gli anni di gavetta e poi di lavoro affermato nel giornalismo sportivo avrà notato molti cambiamenti. Come si è trasformato questo settore in merito all’inclusione?

Negli anni moltissimo, ed è cambiato in meglio, per fortuna. Quando ho iniziato, nel lontano 1994, con il primo contratto giornalistico nella redazione di Tele+2, che è stata la prima pay tv italiana, le donne nello sport e soprattutto in un’ambiente quasi totalmente maschile come quello del calcio, erano un’assoluta novità.

All’inizio è stato davvero tutto in salita. Tantissimo studio, tecnica, tattica, scrittura e soprattutto ricerca di credibilità. Ricordo la tensione dei primi bordocampo di Serie A e delle prime interviste post partita, tutto live e quindi senza possibilità di errore, alla continua ricerca di domande non scontate e banali proprio perché noi donne, sul campo, avevamo la consapevolezza di dover ancora conquistare la nostra credibilità in un mondo di uomini

Devo dire che questo iniziale scetticismo è stato un incentivo, perché mi ha dato la spinta a dare sempre
il massimo senza allentare mai la tensione, anche quando avevo raggiunto una certa sicurezza. C’erano
due allenatori del tempo che mi mettevano agitazione
e con i quali non volevo assolutamente sfigurare: Marcello Lippi e Fabio Capello. In tempi recenti ho confessato a Capello, che ora è uno dei nostri più preziosi e stimati opinionisti a Sky Sport, la tensione che mi procurava intervistarlo. E lui di tutta risposta
mi ha detto: «Ma se con te ho vinto uno scudetto alla Roma!». Quell’anno - il 2001 - ho seguito per tutta la stagione proprio la Roma.

Qual è la situazione oggi? C’è spazio per le giornaliste? Ci dia qualche numero.

La situazione oggi è migliorata rispetto al passato e - ci tengo a dirlo - è soprattutto merito del rigore e della professionalità delle colleghe, sempre più preparate e perfettamente a loro agio in questo mondo. Trovo che nell’ultimo decennio siano stati fatti passi da gigante per quanto riguarda l’inclusione femminile
nel mondo del giornalismo sportivo, in particolare a Sky Sport, la mia seconda casa e ribattezzata per tutti, la Casa dello Sport. Sky è da sempre molto attenta all’inclusione a 360 gradi. All’interno dell’azienda,
infatti, ci sono diversi network, tra i quali Women@Sky, con il quale collaboro: un team di donne, supportate da colleghi uomini, che durante l’anno promuove
diverse iniziative in occasione di giornate particolarmente importanti e non solo.

Ma torniamo ai numeri della nostra direzione: 148 giornalisti della redazione di Sky Sport, 45 sono donne, più del 30%. Di queste 9 ricoprono ruoli di responsabilità (in percentuale circa il 20% delle giornaliste). Ad esempio, l’amica e collega Martina Maestri, con la quale ho condiviso moltissimi anni sui campi di calcio, oggi è apprezzata direttrice del nostro canale all news Sky Sport 24. Per quanto riguarda me, invece, sono capo servizio e mi occupo di coordinamento editoriale di programmi ed eventi. Attualmente sono curatrice del programma TV8 Champions Night, una bella sfida che unisce sport e intrattenimento.

Allargare le mie competenze anche nel campo dell’intrattenimento legato allo sport è un’opportunità importante vista l’evoluzione del mondo del giornalismo e della comunicazione. La crescita professionale passa anche attraverso la possibilità di
interagire con mondi diversi, cosa che fino a qualche
anno fa non era così facile. Oggi lavoro in un contesto inclusivo e in generale per una donna e una professionista della comunicazione ci sono molte più opportunità, anche se i percorsi di crescita devono aprirsi ancora di più per le generazioni future. Le opportunità ci sono, ma il gender gap continua a essere un ostacolo da superare, sia dal punto di vista economico che di ingresso alla professione.

Visti tutti questi cambiamenti, ci racconta un aneddoto della sua esperienza? C’è stato un momento particolarmente significativo?

Il momento più significativo della mia carriera? Sicuramente le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Londra 2012. Un’esperienza unica e indimenticabile, un grande lavoro della squadra di Sky Sport, che si è guadagnata la medaglia d’oro di tutte le discipline lavorando senza sosta per 20 giorni. 12 canali a disposizione, oltre 2000 ore di diretta tra programmi ed eventi e tanto
tanto studio per me, che non conoscevo diverse
discipline olimpiche e molti atleti paralimpici. Perché, come dicevo all’inizio di questa chiacchierata, lo studio
e la conoscenza sono sempre alla base di ogni professione.

Le Olimpiadi e le Paralimpiadi sono un esempio di futuro
sempre più inclusivo. Si va e si deve andare verso
questa direzione. Un evento che non solo celebri
le abilità sportive, ma che sia un modello di accessibilità, rispetto e valorizzazione delle differenze. Un concentrato di storie di forza e abilità. 

Ho ancora negli occhi Alex Zanardi che ha chiuso i giochi con tre medaglie: due ori e un argento. Lui che alza l’handbike dopo il primo oro è stata la foto dei giochi. E come lui sono tante le atlete e gli atleti che testimoniano che lo sport è e deve essere inclusione.

Parlando proprio di inclusione, in che direzione stiamo andando nel giornalismo sportivo? Cosa si può fare per migliorare ancora?

La professione di giornalista si evolve sempre più in ambito digitale. Le opportunità ci sono, ma spesso il gender gap è un ostacolo ancora insormontabile, sia dal punto di vista economico che di ingresso alla
professione. L’obiettivo deve essere quello di superare le vecchie ipocrisie e i pregiudizi e far sì che mondi che sono per tradizione maschili siano sempre più terreno di opportunità per tutte.

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