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CO.CO.CO (COERENZA, CONVIVENZA e CO-PROGETTAZIONE)

A cura di Francesco Reale
18 Ott 2024

Passione, inclusione, valore, spirito di squadra, rispetto…
Ogni brand oggi si identifica e punta sui valori e comunica sempre più i temi legati alla sostenibilità: gli ESG.
Delle tre lettere che compongono la sostenibilità e racchiudono gli obiettivi dell’agenda 2030 la ‘S’ è forse la più complessa. Le organizzazioni aziendali sono sempre più alla ricerca di una relazione con il territorio, di un dialogo con il terzo settore, di azioni concrete e progettualità per favorire l’impatto e l’innovazione sociale.
Per dare un concreto contributo e promuovere il cambiamento: dal valore economico ai valori e al valore sociale.

Profitto sì, quindi, ma sostenibile. Lo dicono anche le statistiche: le aziende più attente alla sostenibilità e all’inclusione ottengono risultati migliori e, oggi più che mai, il ritorno è anche in termini di attrattività e retention dei talenti (c.d. Talent Attraction e Retention), oltre che di soddisfazione e ingaggio dei dipendenti (c.d. Employer Branding), e così ne giova anche il clima aziendale.
Ad oggi, se una persona non si sente rappresentata dai valori di un’azienda, orienta le sue scelte, anche lavorative, verso un’altra realtà. In questo contesto, è fondamentale quindi promuovere valori concreti, tangibili, misurabili.

Ci sono esempi meravigliosi e co-progettazioni che fanno davvero la differenza e portano valore alla comunità, restituendo benessere, speranza, serenità.
Sono questi i casi in cui le aziende assumono un ruolo da protagonista nel territorio e coinvolgono lɜ dipendenti stessɜ nelle attività.
Al contempo, però, ci sono meravigliose storie ‘da vetrina’ che poi in concreto, a parte qualche foto di rito, uno o più comunicati stampa e una pagina dedicata sul sito e sul bilancio di sostenibilità, lasciano poco o nulla se non l’emozione del momento, che però non si traduce poi in azioni quotidiane concrete e coerenti e non si ritrova né si respira nell’organizzazione.

Ad esempio, le ricerche di persone con disabilità legate alla legge 68, che garantisce pari opportunità nelle organizzazioni, sono spesso impostate e gestite con parametri solo all’apparenza inclusivi, ma che, al contrario, impediscono il fiorire e diffondersi della DE&I.
Non basta provare a includere, è necessario prima rendere adatti i luoghi di lavoro, costruire una cultura delle pari opportunità, definire chiaramente mansioni e ruoli in base alle caratteristiche uniche di ciascun individuo.
E non vale solo per la disabilità, ma per le fragilità in generale, molto spesso non viste o non gestite dal management, lo stesso che celebra l’importanza del benessere e della valorizzazione della diversità nei luoghi di lavoro.

Il rispetto dell’identità di genere, dell’età, dell’orientamento sessuale, dell’etnia sono altri temi al centro delle politiche di DE&I ma, anche in questo caso, se usciamo dagli slogan e dalle iniziative e spostiamo il focus su carriera, retribuzione, presenza nel management o peggio, nel board, la maggior parte dei brand entrano immediatamente in crisi profonda.

Gli esempi positivi sono tantissimi, per fortuna, ma la strada è ancora lunga e a volte in salita a causa di un forte gap generazionale nel management e di stereotipi e pregiudizi che facciamo fatica a scrollarci di dosso.

La coerenza nelle nostre azioni, decisioni, selezioni, organizzazioni, deve diventare un mantra non tanto per garantire l’inclusione, ma per celebrare l’unicità di ogni persona e lavorare quotidianamente sulla convivenza.
Perché è questa la vera chiave del successo futuro dei brand: saper convivere con le diversità.

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