
Chi paga il prezzo della crisi climatica?
Le conseguenze della crisi ambientale non colpiscono tutte le aree del mondo nello stesso modo. A pagare il prezzo più alto sono spesso i Paesi più esposti ai fenomeni estremi e, all’interno degli stessi, le comunità più vulnerabili. Lo raccontano due giornalisti sul campo: da Timor-Leste Ato Lekinawa Costa, direttore responsabile di Neon Metin e cofondatore della Timor-Leste Journalist Association, e dall’Indonesia Ahmad Alex Junaidi, docente presso l’Università Tarumanagara di Giacarta e membro del consiglio direttivo di SEJUK.
In che modo i fenomeni estremi stanno influenzando le città costiere e le comunità rurali di Timor-Leste?
Disastri naturali come piogge irregolari, inon-
dazioni, frane, siccità e stagioni secche più lunghe, oltre ai cicloni, sono fenomeni comuni e sembrano peggiorare. A Dili, una piccola capitale densamente popolata (oltre 300.000 abitanti in crescita), le persone sono vulnerabili a inondazioni improvvise e frane. Ma non solo: oggi l’innalzamento del livello del mare è un fenomeno quotidiano che desta grande preoccupazione. Quattro anni fa, nell’aprile del 2021, il ciclone tropicale Seroja ha colpito la città e le aree vicine, causando lo sfollamento di oltre 10.000 persone e la morte di 42. Attualmente, le regioni rurali come Baucau, Liquisa, Bobonaro e Oecusse sono le più vulnerabili a questi eventi meteorologici estremi. Le case nelle zone montuose vengono spazzate via da forti venti, bruciate per il calore combinato al vento, distrutte da frane e diverse persone sono state sfollate a causa delle inondazioni.
Con dai due ai tre quarti della popolazione che dipende dall’agricoltura di sussistenza, la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza sono a rischio?
La maggior parte delle nostre coltivazioni è di sussistenza e dipende dalle piogge. Il clima imprevedibile ha compromesso l’attività agricola e quindi anche la disponibilità di cibo. Le vite dei contadini e delle contadine stanno diventando sempre più difficili, poiché devono acquistare cibo importato, che è molto costoso per loro. I prezzi più alti si registrano a Dili, Covalima e Baucau. L’innalzamento del livello del mare ha un impatto soprattutto sulle infrastrutture, in particolare sulle strade lungo le coste. Le vie che collegano Dili ad altri municipi costeggiano il mare e devono essere continuamente riparate.
Durante le stagioni secche prolungate, l’accesso all’acqua potabile diventa molto problematico, colpendo soprattutto donne e bambini. Raccogliere l’acqua è compito delle donne in molte comunità: devono camminare tra i due e i quattro chilometri per procurarsela. A causa di queste difficoltà, l’acqua viene usata solo per cucinare e bere. Per lavarsi o lavare i vestiti, si devono recare alla sorgente del fiume, che di solito è ancora più lontana. Chi vive vicino al mare usa l’acqua salata per le necessità quotidiane, con conseguenze sulla salute.
Quali misure stanno adottando le comunità locali e il governo per adattarsi al cambiamento climatico?
Il governo di Timor-Leste ha intrapreso diverse azioni: lo sviluppo di un piano nazionale di adattamento, l’adozione di una politica sul cambiamento climatico e la firma di accordi internazionali sull’ambiente. Eppure non oltre tre milioni di dollari l’anno sono desinati a questo fronte. Di conseguenza, Timor-Leste ha un grande bisogno di supporto internazionale.
Esistono anche azioni comunitarie portate avanti da ONG e organizzazioni locali. Ad esempio Permatil (Permakultura Timor-Leste) promuove dei modelli tradizionali per la raccolta dell’acqua per renderla accessibile alle comunità che non ne dispongono. A oggi il progetto ha restituito oltre 20 milioni di litri di acqua alle falde acquifere sotterranee, riducendo significativamente il deflusso, l’erosione, le frane, le inondazioni.
In molte comunità, con il supporto di ONG e autorità governative, si pratica la riforestazione intorno alle fonti d’acqua. Il governo ha anche introdotto normative severe sul taglio degli alberi. Tutto ciò aiuta a proteggere le fonti idriche durante la stagione secca. Un’ONG che lavora in questo ambito è WaterAid. Nella comunità Quelekai, nella parte orientale di Timor-Leste, un gruppo di donne utilizza un metodo tradizionale piantando Lehe (Mucuna pruriens), una leguminosa tropicale che protegge i campi dalla crescita eccessiva di erbacce e funge anche da alimento e medicina tradizionale.
Durante la stagione della semina, rimuovono solo le radici del Lehe e lasciano le foglie sul terreno affinché diventino compost, per poi piantare il mais.
Questo ha permesso alla comunità di abbandonare la pratica della bruciatura che a volte sfugge al controllo.
Invece quali aree sono maggiormente a rischio in Indonesia?
I rischi climatici in Indonesia non solo minacciano la biodiversità e le infrastrutture, ma aggravano anche le disuguaglianze. Con oltre 17.500 isole e 81.000 km di costa, l’Indonesia è estremamente vulnerabile. Secondo l’Agenzia nazionale per la gestione dei disastri (BNPB), solo nel 2023 si sono verificati oltre 2.000 eventi estremi legati al clima, per lo più inondazioni e frane.
Le aree urbane come Giacarta devono affrontare inondazioni da marea croniche e cedimenti del suolo. La città sprofonda in media di 7,5 cm l’anno, con alcune zone che affondano di oltre 25 cm.
Nel frattempo, le comunità rurali in province come Nusa Tenggara Timur e Kalimantan Centrale subiscono lunghe stagioni secche e fallimenti dei raccolti, con oltre 20 milioni di piccoli agricoltori colpiti dall’irregolarità delle piogge.
Giacarta è stata definita la città più vulnerabile al mondo dal punto di vista ambientale. L’Agenzia nazionale per la ricerca e l’innovazione (BRIN) avverte che fino al 95% del Nord di Giacarta potrebbe essere sommerso entro il 2050.
Come stanno rispondendo a questa crisi il governo e le comunità locali?
Le strategie governative comprendono il progetto della Grande Diga Marittima (NCICD) e il trasferimento della capitale a Nusantara, ma questi progetti multimiliardari rischiano di escludere le comunità locali. Sul territorio, tuttavia, gli sforzi guidati dalle comunità come il rimboschimento delle mangrovie a Muara Angke – che ha ripristinato oltre 400 ettari – dimostrano che le soluzioni dal basso possono avere un impatto reale, se adeguatamente sostenute. Nelle isole Maluku, il sistema marino tradizionale Sasi ha contribuito a stabilizzare le riserve ittiche in decine di villaggi costieri.
Nella regione di Giava, banche dei semi gestite da donne sostengono oggi oltre 1.500 agricoltori biologici che si stanno adattando a stagioni sempre più imprevedibili.
Queste non sono solo tradizioni, ma veri e propri modelli per una giustizia climatica fondata su equità, partecipazione e resilienza.