
BRAND CAPITALISM: QUALI OPPORTUNITÀ E RISCHI PER LA BRAND EQUITY?
Nella società contemporanea, le organizzazioni devono interpretare come creare valore in modo ampio, non solo economico. Ciò parte anche dalla capacità di creare “brand equity”. Già dagli anni Ottanta, questo concetto ha cambiato il modo di interpretare necessità e iniziative di marketing, perché mette il tema del marchio di una qualsiasi organizzazione in relazione con la sua capacità di creare valore condiviso per la società attraverso il mercato.
Le trasformazioni sociali, tecnologiche e digitali contemporanee aprono opportunità e rischi senza precedenti per incrementare o ridurre drasticamente il valore di un marchio, stante il loro impatto nelle dimensioni fondamentali per generarlo, quali: la fedeltà deɜ clienti, la consapevolezza, la familiarità e la percezione dello stesso.
Tuttavia, abbiamo trascurato troppo a lungo una nuova dimensione: quella della creazione di valore in un’economia del cervello. Grazie alle neuroscienze, comprendiamo oggi meglio come il cervello sia responsabile del nostro comportamento, delle capacità cognitive, emozioni, scelte e infine del benessere, e possiamo misurare con precisione molti dei costi e benefici che dipendono dalla nostra salute mentale.
Questa riflessione ci porta a introdurre un concetto emergente e rivoluzionario: il “Brain Capital” (capitale del cervello umano). George Vrandenburg, convocatore della Davos Alzheimer’s Collaborative, afferma che “È il cervello ciò che fa ruotare il mondo”.
Il capitale del cervello umano guida i miglioramenti, la resilienza sociale e la connessione emozionale. Sorprendentemente, non è ancora contemplato nelle misure del prodotto interno lordo di alcuna nazione.
Quindi, quando consideriamo una qualsiasi organizzazione - che contribuisce al prodotto interno lordo di una nazione - e il suo marchio, la domanda che dovremmo rivolgerci per mettere a sistema tale concetto è: come collabora alla creazione del capitale e all’economia del cervello umano, essendo fondamentale per i propri e altrui obiettivi socio-economici?
Dalla prospettiva di legittimità, sembra quasi dirimente affermare che sia un obbligo per un’impresa, considerando che senza alcuna progettualità tesa anche a questo fine non potrà incrementare con altrettanto successo il valore del proprio marchio. Ma, è possibile trovare molte risposte anche ragionando sulla relazione che esiste fra l’esercizio della comprensione e valorizzazione della diversità dei cervelli e del dipendente comportamento della brand equity di un’organizzazione.
Nel contesto attuale, dove il ruolo delle aziende va ben oltre la semplice ricerca di profitto, le stesse si adoperano per creare ambienti di lavoro che promuovano il benessere mentale dei propri e delle proprie dipendenti e valorizzino la neurodiversità. Nel fare ciò, non soddisfano solo una necessità per garantire la propria sostenibilità e il successo a lungo termine dell’organizzazione, ma si assicurano le migliori opportunità per far sì che la propria forza lavoro sia più produttiva, creativa ed eserciti capacità di innovazione. Tutte doti fondamentali per operare nella creazione di Brand Equity.
Un aspetto cruciale del benessere mentale nelle aziende è il riconoscimento dell’importanza della neurodiversità, intesa come l’insieme dei diversi tipi di funzionamento cognitivo e sensoriale in quanto parte della normale variazione presente nel genere umano.
La diversità cognitiva e sensoriale in un’azienda, se adeguatamente inclusa e valorizzata, contribuisce all’esercizio di prospettive uniche dei talenti distintivi che possono arricchire notevolmente un’organizzazione, quali quelli delle persone neurodivergenti.
Dal punto di vista della convenienza, è evidente che senza relazionarsi con le tematiche del capitale e dell’economia del cervello umano, non si potrà determinare con efficacia ciò che è necessario per valorizzare al meglio il proprio brand. Considerato che è il cervello delle persone ciò che fa ruotare il mondo, e ciò influenza direttamente il proprio mercato, nel prossimo futuro sarà indispensabile per tutte le organizzazioni, soprattutto quelle con maggiori responsabilità, intraprendere progettualità tese a realizzare politiche e innovazioni atte a garantire lo sviluppo dell’economia e del proprio capitale del cervello umano.
Questo impegno etico non è semplicemente legato a un trend, ma a una necessità per la nostra società, quella di evolvere tenendo conto delle diversità cognitive e sensoriali delle persone come elemento centrale per la loro realizzazione e benessere.
In questo contesto, il concetto di brand activism assume un ruolo centrale. Le aziende non possono più permettersi di essere spettatori passivi; ma devono diventare attori attivi nel promuovere il benessere mentale e l’inclusività, stante che il loro successo dipende dalla capacità di attrarre e mantenere talenti diversi, e creare un ambiente di lavoro che supporti il benessere di tuttɜ lɜ dipendenti.
Il cammino è lungo e complesso, ma i benefici possono essere enormi. Le organizzazioni che riescono a creare un ambiente di lavoro che supporti il benessere mentale e valorizzi la neurodiversità non solo costruiranno una brand equity più forte, ma contribuiranno anche a una società più giusta e prospera. Questo impegno non deve essere visto come un costo, ma come un investimento nel futuro.
Investire nel capitale del cervello umano è investire nel futuro della nostra società e della nostra economia. Le aziende hanno il potere e la responsabilità di guidare questo cambiamento, e il tempo di agire è ora.
Emanuela Faccin, laureata in Economia presso l’Università degli Studi di Verona e con un master in Marketing Retail e Management presso la CUOA Business School di Vicenza. Appassionata di neuroscienze, ha approfondito l’influenza del comportamento del consumatore e l’adozione delle tecnologie emergenti nel marketing. Ha partecipato a vari progetti di ricerca focalizzati sull’analisi del neuromarketing.