AGILI E FELICI. GUARDIAMOCI IN CASA
‘Il brand activism è un modello di business nel quale il perseguimento degli obiettivi economici è correlato o subordinato all’impegno dell’impresa in cause di rilevanza sociale, politica e ambientale’.
Partendo dalla definizione di Wikipedia, il collegamento tra lavoro agile e brand activism è lampante.
Perché il lavoro agile è a tutti gli effetti una causa di rilevanza sociale, politica e ambientale.
Lo sostengo da anni. Quando ancora mi trovavo a cercare di convincere direttori del personale resistenti che non c’era alcun tipo di ostacolo tecnologico; che le persone, no, non sarebbero sparite nel nulla; e che a casa loro, se avessero scelto di lavorare da lì, non avrebbero dormito sul divano per la maggior parte del tempo, quello che allora già si intravedeva era l’arrivo di un fenomeno di portata straordinaria. Una rivoluzione del modo di lavorare che avrebbe trasceso i confini dello stesso mondo del lavoro, per innescare appunto cambiamenti sociali, politici e ambientali.
Proviamo a individuarne alcuni?
Il lavoro agile - è diventato chiaro a tuttɜ durante il covid - ha una grande rilevanza sociale. È in grado di trasformare profondamente il modo in cui lavoriamo e, data la centralità del lavoro nelle nostre vite, il modo in cui viviamo.
Intorno al lavoro ruota la società, con le sue strutture, relazioni, abitudini e convenzioni. Cambiando il modo in cui lavoriamo cambiano profondamente le relazioni sociali, il nostro posto nella società e come veniamo socialmente percepitɜ.
Ricordo perfettamente il senso di disagio quando, anni fa, passavo in piena mattina sotto gli occhi indagatori del custode del palazzo, sentendomi addosso la sua domanda inespressa ‘perché non è in ufficio oggi? Ha perso il lavoro?’.
E vedo ora, nel giro di pochissimi anni, il nomadismo digitale come status lavorativo perfettamente accettato; per moltɜ un grande desiderio.
La società cambia anche nelle sue strutture fisiche. Pensiamo a come sono cambiati gli uffici; ai nuovi equilibri nelle città, nei suoi flussi di traffico; e anche a come sono diverse le richieste di abitazioni, che rispecchiano oggi le nuove esigenze di lavoro da remoto.
Il lavoro agile ha anche rilevanza politica. Perché è proprio la politica a essere chiamata a regolamentare fenomeni nuovi, promulgando le leggi adeguate. Se lo fa, agevola la trasformazione; se non lo fa, decide scientemente di bloccarla. Ed è sempre la politica a influire direttamente sui nuovi modi di lavorare nella pubblica amministrazione, contribuendo alla loro introduzione o ostacolandoli.
Forse l’impatto ambientale è il cambiamento più facilmente collegabile al lavoro agile. Perché è chiaramente misurabile. Le tonnellate di CO2 risparmiate dai mancati spostamenti sono oramai una realtà riconosciuta da tuttɜ. L’imponente riduzione dei metri quadri dei nuovi uffici, con i costi energetici connessi, è un altro dato evidente, sotto gli occhi di tuttɜ.
Quindi, ciò che è interessante ora sottolineare è il legame tra lavoro agile e brand activism. È infatti la scelta di un’azienda di fare o non fare lavoro agile che connota l’azienda stessa come credibile o meno nel fare brand activism.
Un’azienda che si presenta al mercato come azienda socialmente attiva e che decide al contempo di non fare lavoro agile risulta poco credibile. Incoerente.
Come pensare di comunicare, a livello corporate o attraverso singoli brand, di essere attentɜ alle sorti del pianeta e poi obbligare le proprie persone a fare quotidianamente km inutili?
Come dichiarare pubblicamente di dare sostegno a cause sociali e minare al contempo il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, imponendo orari rigidi e policy obsolete?
Il lavoro agile è dunque il prerequisito del brand activism.
Perché le aziende sono organizzazioni basate sul lavoro. E il lavoro è fatto dalle persone.
Se alle persone non vengono assicurati benessere e felicità non ha senso che le aziende inseguano, e comunichino, alcun tipo di attivismo o causa sociale.
Meglio prima che si guardino in casa.