
12° Festival ORLANDO di Bergamo: in 4mila per “ripensare il fallimento”
«Quello che colpisce è quante persone partecipino, da anni, in modo volontario e con enorme impegno. È attivismo, estremamente sentito». Elisabetta Consonni è al suo secondo anno da Direttrice artistica del Festival ORLANDO di Bergamo, un festival nato nel 2014 come spazio sicuro in cui raccontare identità di genere e orientamenti sessuali, soprattutto attraverso il cinema, che con il passare degli anni si è aperto sempre più alle arti performative, oggi vera colonna della programmazione, e a un racconto a 360 gradi non solo su identità di genere e appartenenze ma anche sguardi sul mondo, tentativi di ribellione, libertà e non conformità dei corpi.
«Siamo contentissimə – continua Consonni –, l’edizione che si è appena conclusa è stata più che riuscita. Non solo perché ogni singolo appuntamento ha fatto il cosiddetto tutto esaurito, che fosse in sala o all’aperto, ma anche perché si è respirata una partecipazione davvero sentita, da parte di tutti i soggetti coinvolti: partner, pubblico, artistə sul palco, ospiti. Non so cosa potremmo volere di più. Anzi, sì, lo so: migliorare, perché è sempre possibile».
Più di 20 proposte tra spettacoli, film in anteprima, incontri, installazioni; dal 3 all’11 maggio, in nove diversi spazi della città e in collaborazione con oltre 40 realtà. Laboratori cominciati mesi prima del Festival, capaci di coinvolgere da ragazzə di nemmeno 20 anni a donne di oltre 60, e circa 4mila presenze da parte del pubblico.
Ma i numeri non sono la principale preoccupazione di chi lavora per organizzare la manifestazione culturale queer di Bergamo. «Contano sicuramente – commenta Consonni – ma quello di cui ci preoccupiamo è soprattutto prenderci cura delle relazioni. Con gli e le ospiti, con le persone che a vario titolo si impegnano per far sì che il Festival riesca, con chi partecipa, con chi ci supporta. Questo lavoro si vede: è come se chi frequentasse ORLANDO percepisse tutta la cura che ci viene messa e, poi, la restituisse».
L’edizione 2025 è stata dedicata al tema del fallimento. Ad aprire un seminario divulgativo di Jack Halberstam, tra i più importanti studiosi di gender studies, che a partire dalle tesi del suo libro L’arte queer del fallimento (in Italia edito da Minimum Fax) ha condotto il pubblico in una piccola esperienza di liberazione. Per allenarsi ad avere nuove prospettive, sguardi spiazzanti, grammatiche diverse.
Decisamente riuscita, a questo proposito, l’immagine guida scelta per questa edizione: una giraffa all’interno di una stanza, vicino alla testa un lampadario, lo sguardo stranito ma sereno. Imprevedibile quanto semplice. Come a dire che per cambiare prospettiva può bastare, a volte, anche un solo click.
L’immagine è del fotografo slovacco Martin Kollar. «L’idea era suggerire di affrontare il famoso elefante nella stanza – dice la Direttrice –, che può rivelarsi, appunto, una giraffa. Il successo, per come siamo abituatə a intenderlo, è l’esito di un sistema che non considera la pluralità di prospettive, identità, corpi. Questa giraffa ci è servita per comunicare che è possibile desiderare di vivere altrimenti. E pensare il fallimento come un’esperienza che può portare nuove possibilità».
Quest’anno ORLANDO ha ospitato anche due spettacoli in anteprima italiana: Trace of Ecstasy del coreografo nigeriano Emmanuel Ndefo e Butch Tribute del duo di performer norvegesi Ann-Christin Kongsness e Marte Reithaug Sterud.
E poi Concerto di Igor x Moreno, Lampyris Noctiluca di Aristide Rontini, Hot Bodies Choir di Gérald Kurdian. E, ancora, i film Baby di Marcelo Caetano, Lesvia di Tzeli Hadjidimitriou, Shadow di Bruce Gladwin della compagnia australiana Back to Back Theatre.
Impossibile citare l’intero programma. Un’altra cosa, però, va ricordata: l’Istituzione Fantastica. Per provare a immaginare, collettivamente, un’istituzione che potesse favorire riflessioni su soggettività non riconosciute e legittimate dal sistema istituzionale, è nato il Ministero del Fallimento, che ha dato vita a incontri aperti in una piazza centrale della città, tornata così alla sua funzione originaria di spazio in cui prendere pubblicamente parola.
Ne è nato un mix di pratiche, non solo artistiche ma anche sul modo di stare nella città. Un ventaglio di sguardi diversi e capaci di raggiungersi. E anche uno spazio aperto, capace di attirare chi passa: «Si fermavano a curiosare ma poi restavano – chiude Elisabetta Consonni –, in fondo è quello che vogliamo faccia ORLANDO: avere cura di restare sempre aperto».