WAHAT AS-SALAM NEVE SHALOM - La fabbrica della speranza
Rosita Poloni
Nel mese di aprile ero in Puglia a presentare il libro edito dalla mia associazione (Il Folle sogno di Neve Shalom Wahat al-Salam, ed. Terra Santa, curato da Brunetto Salvarani (più precisamente ero in Valle d’Itria, uno di quegli incanti tutti italiani che rendono il nostro paese così intenso e bello. Lì ero ospite ai Giardini di Pomona (www.igiardinidipomona.it), dove abitano Paolo e Anna, di quel giardino custodi.
Paolo ha iniziato la sua vita professionale come fotografo a Milano ma ha dedicato gli ultimi 40 anni della sua vita alla biodiversità, in particolare alla pianta di fico, di cui coltiva 640 specie differenti; Anna è una maestra in pensione appassionata di botanica che sa dire il nome di ogni erba, pianta, fiore, fuscello verde che il suo sguardo identifichi. Sono rimasta affascinata ed ispirata da questo incontro perché in quel riconoscere, nominare, selezionare e coltivare la diversità ho gustato un talento e un’intelligenza che trovo essenziali. Questo saper distinguere, saper dare un nome, saper apprezzare e crescere la differenza proprio in virtù della differenza, è un principio cui ci si sta disabituando: per semplicità, per noia, per fatica, per paura. Invece in questa distinzione - legittimata, accolta, definita - io penso abiti la sfida più affascinante e vitale dei nostri giorni: di fronte ad un’aiuola io vedevo un pezzo d’erba con fiori, Anna vede anemoni, ortiche, ferule, orchidee selvatiche, tarassaco e così via; io povera di parole e di vista, lei articolata, complessa e ricca non solo perché sa dire, ma anche perché il suo dire educa a guardare in un processo che intellige, che legge attraverso, che identifica. Anna possiede le parole per dire. Avere le parole è essenziale non solo per dare forma alla realtà, ordinarla e possederla ma anche per vedere davvero, per esperire il mondo. Un amico valdostano mi diceva qualche giorno fa di come in patois non esistano molte parole per le emozioni, perché è un dialetto dedicato alla praticità primaria dell’esistenza, pertanto uno stato d’animo si può esprimere in due o tre modi. La varietà stratificata del sentire rimane fuori fuoco e chi cresce parlando quella lingua difficilmente sa, per esempio, riconoscere in sé le emozioni che non saprebbe esprimere a parole. Parole, differenza, esperienza.
Aggiungiamo il termine conflitto e facciamo un salto di 2.700 km circa. Medio Oriente.
No man’s land tra Israele e Palestina. Si chiama Oasi di pace, Wahat al-Salam Neve Shalom, in arabo e in ebraico. È una comunità spontanea nata alla fine degli anni settanta su ispirazione di un padre domenicano, Bruno Hussar, ebreo di nascita, cresciuto al Cairo, convertitosi al cattolicesimo in età adulta, immigrato in Israele negli anni sessanta. La sua sola biografia indica in maniera non troppo approssimativa la natura, il sogno, l’aspirazione di un uomo che portava in sé molte identità e differenze, che si esprimeva in almeno quattro lingue, che credeva nella pluralità, che credeva, soprattutto, nella convivenza. Neve Shalom Wahat al-Salam nasce per garantire un luogo a tutti ed ognuno, per accogliere persone di nazionalità ebraica e palestinese, credenti dei tre monoteismi, atei, in breve chiunque culli l’ambizione di poter coesistere, con rispetto e giustizia. Oggi vi abitano circa 70 famiglie, presto saranno 100. Lì è nata la prima scuola bilingue e binazionale di Israele, un contesto educativo in cui fin dall’asilo nido bambini e bambine apprendono in ebraico e in arabo, affinché tutti, chi appartiene al gruppo di maggioranza e chi a quello di minoranza, possano avere le parole per dire e dirsi. Non è scontato in una società, come quella israeliana, dove la lingua ebraica gode di maggior diffusione ed utilizzo, dove esistono de facto due sistemi scolastici distinti per arabi ed ebrei (con curricola, budget e risorse differenti), dove infine, anche nelle città miste, risulta quasi impossibile coltivare relazioni inter gruppi. Alla scuola del villaggio gli alunni studiano le differenti narrazioni della storia di quella terra, le ascoltano, le rispettano, le legittimano: quando si celebra, nel mese di maggio, il Giorno dell’Indipendenza per Israele, si ricorda anche che quello stesso giorno, per i palestinesi è la Naqba (catastrofe) che ha visto la dispersione del popolo palestinese. Alla scuola del villaggio i bambini e le bambine conoscono le tradizioni culturali e religiose di tutti, le approfondiscono, le vivono insieme con la naturalezza di chi cresce in un contesto autenticamente spurio e lo riconosce come proprio, normale. Che cosa permette a questa vicinanza di realizzarsi in modo così autentico ed efficace? Così efficace che circa l’85% degli alunni arriva da fuori e negli ultimi anni si sono raddoppiate le sezioni di primo, secondo e terzo anno?
Identità è la parola chiave che aggiungiamo alla nostra lista. A Neve Shalom Wahat al-Salam si è naturalmente sollecitati a curare la propria identità in maniera consapevole, a coltivarla, a svilupparla senza fanatismi e, allo stesso tempo, senza incedere in alcun modo nel rischio del meticciamento, perché a NSWAS ognuno sa chi è e forte di questa consapevolezza può andare incontro all’altro in maniera reciproca e accogliente, legittimante e rispettosa, libera. La convivenza delle differenze rimane una sfida da svolgere, giorno dopo giorno, nelle grandi e piccole sfumature che il mondo arabo e quello ebraico portano con sé, nella fatica di riconoscersi vicini di casa e nemici, nelle tempeste politiche e militari che sconvolgono Israele e i Territori Palestinesi ciclicamente. Con la convinzione profonda che non esistano alternative reali, eque, sperabili, all’essere insieme.Chi conosce il villaggio oggi sperimenta una realtà sviluppata, piccola ma tenace, che a quel richiamo di sogno di Padre Bruno Hussar ha dato forma, concretezza e respiro; “una comunità guidata da principi di uguaglianza, da un governo democratico, da rispetto reciproco, dialogo costante, agire comune”. Una fabbrica della speranza che anticipa quel ‘futuro migliore’ nel cuore di tutti.