UNA STORIA UNA VITA
Irbin Vicco
Mi chiamo Irbin (Augusto) Vicco, sono un ragazzo di 27 anni della provincia di Varese. Sono nato con una malformazione alla gamba destra e, all’età di 3 anni, si è optato per l’amputazione dell’arto. Ciò non mi ha impedito di essere un bambino socievole e dall’accesa curiosità che mi ha portato, alle elementari, a ricevere dal sindaco il riconoscimento “Premio XXV Aprile” attribuito per meriti scolastici. Nella mia esperienza formativa ho spaziato in diversi ambiti di studio, inizialmente ero attratto dal settore delle vendite (che sentivo vicino alle mie caratteristiche personali) ma, prima di terminare gli studi, per motivi di salute ho dovuto rinunciare al percorso intrapreso e dedicarmi esclusivamente a lavorare. Non contento di aver lasciato incompiuto quel percorso, pochi anni fa mi sono cimentato nella ripresa dello studio, terminando la formazione superiore, questa volta nell’area delle Scienze umane. Oggi lavoro per una azienda leader nel settore dell’orologeria con la quale sono contento di collaborare. Nel futuro mi piacerebbe crescere professionalmente e ampliare il mio “bagaglio” di conoscenze e - perché no - dopo la carriera sportiva, riprendere gli studi. La carriera sportiva… appunto. Sono entrato in contatto con il mondo dello sport da bambino, ho praticato nuoto per una (o forse due) stagioni e, malgrado avessi espresso più volte la volontà di continuare a praticare una qualsiasi disciplina, non ne ho avuto più la possibilità. Sei anni fa, mentre partecipavo a un evento di presentazione (e prova) di vari tipi di “piede” fui spronato dalla mia allora nuova ortopedia di riferimento, Pirola, di Monza, a provare l’arto da corsa. Mi si è aperto un mondo. Ho iniziato a correre e non volevo più fermarmi. Quello stesso giorno ho conosciuto molte persone nelle mie stesse condizioni fisiche, in particolare un atleta di tennis tavolo della società “Polha Varese”, polisportiva per persone con disabilità che opera nel varesotto e della quale, ora, faccio orgogliosamente parte. Mi ha accolto nella grande famiglia dello sport e, di lì a poco, la mia carriera da atleta ha preso il via. Ora sono un atleta azzurro, specializzato nel salto in lungo. Ho ricevuto la mia prima convocazione in Nazionale, agli Europei di atletica Paralimpica in Polonia, tra tre settimane da oggi. Lo sport ha caratteristiche che puntano a esaltare l’uomo, inteso come essere umano; per avere risultati ti costringe a incanalare ogni energia disponibile alla ricerca del meglio che puoi dare. La vittoria, in qualsiasi disciplina, oltre alla fortuna di avere avuto in dono talenti fisici, è data dalla volontà di dare il meglio: nessuno può raccoglierne i frutti senza sacrificio. Siano sport in solitaria o di squadra. Questo si riscontra effettivamente in tutti gli ambiti della vita, è vero, ma lo sport è anche amicizia, lealtà, rivalità, correttezza, passione, costanza, sacrificio, paura, ambizione, pianti, risate, delusioni… tutto concentrato in poche ore, minuti o addirittura secondi di una performance sportiva, nella quale ti giochi TUTTO. Spesso, quando devo sintetizzare in poche righe chi sono e presentarmi, tocca riassumermi come atleta Paralimpico. Come una persona che, a 3 anni, si è guardato e visto senza una gamba, ed è vero che io sono questo e, probabilmente, è il motivo per cui vengo intervistato… ma per 25 anni ho sempre voluto essere semplicemente Irbin, un ragazzo riservato ma buon osservatore, risoluto nel farsi conoscere solo da chi vuole conoscerlo davvero, un po’ per volta, tra uno scambio di battute e l’altro, poiché è questo che facciamo da animali sociali quali siamo: cerchiamo di conoscere il prossimo. La nostra apparenza è importante, sì, ma non ho mai voluto essere “quello senza gamba”: lo trovo riduttivo. Ad oggi voglio, accettando tutto di me, mostrarmi per ciò che sono perché nella mie mancanze trovo anche quel che manca a qualcun’altro. Assistendo alle gare di nuoto Paralimpico vedevo persone “messe peggio” di me impegnarsi tantissimo, ridere e gioire con i compagni e, mattone dopo mattone, mi hanno aiutato (inconsapevolmente!) a smontare tutti i pregiudizi che avevo… nei miei confronti! Vedere chi ha “meno” di noi essere in pace con se stesso/a, è un ottimo spunto di riflessione per essere grati di ciò che si ha e non compatirsi per quel che ci manca. Non so quanto possa essere di aiuto la mia testimonianza, ma se potessi dare un decimo di quel che l’osservare gli altri ha dato a me, beh… sarebbe bellissimo. È sacrosanto dirlo: le esperienze negative aiutano ad adattarci, a cambiare modo di pensare se necessario, ad attingere a risorse che spesso teniamo accantonate. Dipende dall’entità dell’incidente di percorso? Forse, credo che se vogliamo cambiare prospettiva e metterci in gioco, scopriremo che non tutti i mali vengono per nuocere. Se siamo disposti ad abbracciare le novità che la vita, spesso, riserva possiamo trovare strade che non pensavamo fossero destinate a noi. Non è bellissimo?