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UNA SCELTA SOSTENIBILE

A cura di Loredana Lipperini
07 Mar 2023

C’è un romanzo bellissimo di Annie Ernaux, da poco Nobel per la letteratura, che si intitola “L’evento”. È la piccola storia (una piccola storia ignobile, direbbe il nostro Guccini, e il contenuto è identico) di una ragazza che studia all’università per emanciparsi dalla classe sociale dei genitori. Rimane incinta. Vuole abortire. Abortisce in uno dei modi orribili in cui si abortiva clandestinamente negli anni Sessanta (e dopo, e ovviamente prima), ed è solo dopo quell’aborto che il desiderio di maternità, di essere il corpo attraverso cui passano le generazioni, verrà accolto.

Il modo in cui Ernaux racconta è spietato: con se stessa e con chi la circonda, dal ragazzo con cui si accompagnava, e che ovviamente non desidera altro che star fuori dalla faccenda, agli amici o presunti tali che, ricevuta la confidenza, le mettono le mani addosso convinti di una disponibilità sessuale ormai ovvia, fino ai medici che se ne infischiano, pii e severi, salvo concederle una prescrizione di penicillina e salvo, ad aborto compiuto, ammettere con un sorrisino che non c’era bisogno di andare fino a Parigi per trovare una donna disposta all’intervento. La donna è una vecchia signora che ha a disposizione speculum e sonde. Fa “il suo lavoro” e nulla più: si fa pagare, eppure ha una certa ruvida tenerezza verso le ragazze e le donne che salgono fino al suo appartamentino di due stanze. E poi, soprattutto, c’è Ernaux, col suo interrogarsi su se stessa, col suo ricordare quella separazione fra intelligenza e corpo, laddove il primo, prigioniero della “natura” come avrebbe detto Beauvoir, soffoca ogni altro stimolo, la lettura, lo studio, la tesi da scrivere. Il corpo come prigionia e come ineluttabilità, come nebbia che intorpidisce e ferma, come destino a cui sfuggire.

Questo libro, breve e spietato, andrebbe letto oggi, in un momento dove la maternità torna a essere circondata dalla mistica, e dove il poter decidere se essere madri o meno diventa difficile. Non è solo questione di reddito, come ci vien detto in queste settimane, assicurando alle donne che verrà offerto loro sostegno economico per portare avanti la gravidanza. Una vita “sostenibile” non passa soltanto per la possibilità di mantenere un figlio (certo, è importantissimo, nessuna sottovalutazione), ma per la convinzione e il desiderio di averlo, quel figlio.

Del resto, il passato non fa ben sperare per quanto riguarda le ipotetiche presenze nei consultori volte a sostenere, appunto, le donne. Qualche esempio.

Nel settembre 2011 a San Giovanni in Fiore (Cosenza) il parroco Don Emilio Salatino decide di suonare le campane a morto ogni volta che in città viene praticato un aborto. Due mesi prima, il presidente della regione Piemonte Cota aveva proposto un protocollo, bocciato dal Tar e riproposto sotto altra forma “per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”. Il miglioramento prevedeva l’inserimento nei consultori di associazioni pro life.

Peraltro, la questione dei consultori è una di quelle che si tende a dimenticare e fra le più gravi, nello stato delle cose che riguarda la maternità (scelta o rifiutata che sia). I consultori italiani, ottenuti dopo lunghe battaglie e rivendicazioni delle donne, sono ugualmente a rischio. Per obiezione, per inserimento di movimenti fondamentalisti, per mancanza di fondi.

E a rischiare sono tutte le politiche in materia di contraccezione ma anche di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Alla Regione Lazio, per esempio, la legge Tarzia (poi fermata) prevedeva che i servizi dei consultori venissero affidati “alle associazioni di famiglie che hanno come scopo la difesa della vita fin dal suo concepimento”. E dunque: un esperto di bioetica, uno in antropologia della famiglia, uno in “metodi naturali di contraccezione”. E le donne? Secondo il testo di legge, hanno “il dovere di collaborare” e devono mettere per iscritto quando rifiutano di dare in adozione il bambino invece di abortire.

Altre storie. Torino. Alcune ginecologhe dei consultori si sono rifiutate di affiggere un manifesto del Centro aiuto alla vita, con un feto e la scritta: «Mamma, ti voglio bene». L’immagine è però comparsa in un poliambulatorio dell’ Asl 2, con un foglio: “Appeso per ordine della direzione aziendale”. Stesso mese, stessa città. Tre volontari dell’Associazione Ora et Labora in Difesa della Vita si muniscono di una croce che al posto dei chiodi ha feti di plastica e mostrano un manifesto con la foto di Silvio Viale (medico e politico impegnato a favore della RU-486) e la scritta “Sono un piccolo boia”. Diffondono volantini dove il feto parla in prima persona alla madre che lo uccide. Che poi chi decide di diventare madre rischi in salute e assistenza, è cosa che li riguarda, evidentemente, molto poco.

E c’è un altro punto sostenibile continuamente ignorato. L’informazione. La proposta di legge che prevede l’educazione sessuale nelle scuole è ferma in Parlamento dal 1975: una delle ennesime anomalie italiane nei confronti degli altri paesi dell’Unione Europea. Fin qui, le scuole medesime hanno provveduto (non tutte e non sempre) a finanziare i corsi con i propri fondi: iniziativa che diventa sempre più difficile dopo i pesantissimi tagli degli ultimi anni. Inoltre, nel 2011, papa Benedetto XVI ha bollato l’educazione sessuale come pratica “contro la fede”. Di contro, secondo un’indagine della Società italiana di ginecologia e ostetricia, il 64% degli studenti delle scuole superiori vorrebbe un corso di educazione sessuale a scuola, e il 44% sarebbe felice di poter parlare di questi temi a casa. Per informarsi, i giovanissimi scelgono – esattamente come le giovani madri – forum e siti: dove però imperversano i vecchi e inutili consigli contraccettivi (lavande vaginali con l’aceto e la coca cola).

Quando il preside del liceo scientifico Giovanni Keplero a Roma installò un distributore di profilattici a due euro l’uno si scatenò una tempesta. Nel 1992, la campagna per il preservativo che aveva come testimonial Lupo Alberto incontrò l’opposizione dello stesso ministero della Pubblica Istruzione. E sparì.

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