UN GIORNO PER RITROVARE VENTOTTO ANNI
Partirei dalla fine, dal presente.
Sono Gabriella Bonaiuti, ho 48 anni. Vivo a Firenze, sono divorziata, non ho figli e ho due, anzi tre famiglie. Io da sola, sono la mia famiglia. C’è quindi una famiglia d’origine, quella composta dai miei genitori biologici e dai miei fratelli naturali. E poi c’è la mia famiglia adottiva, ossia i genitori che mi hanno accolta quando avevo tre anni e mi hanno cresciuta. Sono adottivi ma, lo dico sempre, sono i più naturali del mondo. Questi sono i miei pilastri. E poi, da 26 anni, ho anche un’altra famiglia, Findomestic. Vedo da un soloocchio e ho la sma, ma l’azienda non mi ha mai fatta sentire diversa. Anche nei momenti più complicati della mia vita, mi sono sempre sentita accolta, protetta. Mi ha permesso di essere come sono: imperfetta, come tutti, in un posto perfetto.
Per arrivare a quello che tu oggi chiami il «lieto fine», ci sono voluti tempo, coraggio, rabbia, dolore.
Per scoprire le mie origini ho dovuto viaggiare a lungo, anche mentalmente.
All’età di 27 anni e con il supporto di una psicologa, ho deciso di intraprendere una ricerca, che chiamerei burocratica, al Tribunale minorile. C’è voluto un anno. Poi, in un giorno, sono riuscita a chiudere il cerchio. Tutti i figli adottati, anche se amati all’ennesima potenza, si portano dietro questo senso di cerchio mai chiuso, questa mancanza ed è giustissimo, a mio avviso, consentirgli di scoprire cosa ci sia stato prima dell’attuale identità. Nel mio caso, prima di GabriellaBonaiuti, c’era Gabriella Leonardi, una bambina che fino a tre anni ha vissuto a Livorno con la sua mamma, il suo babbo e i suoi fratelli. Dopo 28 anni, in un giorno, li ho ritrovati. È stato come se la mia mamma naturale, da lassù, mi avesse guidata. Purtroppo non ho potuto riabbracciarla. È morta esattamente un mese prima del mio arrivo a Livorno.
Quel giorno, come suggerisce il titolo del libro che hai pubblicato nel 2020, è stato il tuo «giorno a Shangai».
Sembra evocare un’avventura cinese, ma Shangai è il quartiere popolare di Livorno dove sono nata e dove ho vissuto da piccola. Quel giorno mi ha sconvolto la vita. Ho impiegato 10 anni per rimettere insieme i pezzi e i cocci di quella giornata. Eppure rifarei tutto. Posizionare l’asticella del rispetto reciproco non è stato spesso facile ma, se spinti da pulsioni d’amore, il lieto fine esiste. Ci sono tanti tipi di famiglie, tante diversità. Là dove c’è rispetto e cura, c’è una famiglia. Ti faccio un altro esempio che mi riguarda. Prima di sposarmi con il mio ex marito, ho avuto una storia d’amore bellissima con Silvia. Noi eravamo una famiglia: io, lei e il nostro cane. Lo sono anche mio fratello e il suo compagno che convivono da 12 anni, mio cugino che ha adottato una bimba colombiana, una delle mie più care amiche che ha una splendida famiglia allargata. Dopo il Covid, la parola contagio ci fa paura. Ma l’incontro, lo scambio di idee, di energie, di diversità è sempre positivo. La contaminazione è arricchente. Nell’imperfezione c’è personalità, c’è stile, c’è bellezza. Quando si parla di noi la perfezione è un accessorio a volte trascurabile.
Oggi si percepisce in te una grande serenità. Immagino però che non sia sempre stato semplice.
Ci sono state molte emozioni contrastanti. C’è statala paura, fin dai primi incontri al Tribunale con quei personaggi strani, con i quali passavo la mia ora settimanale e che mi bombardavano di domande per capire se fossi «idonea a sapere». Non si è mai pronti a conoscere certe verità, anche se con un po’ di arroganza, pensiamo di esserlo. E poi ci sono state le bugie. Oggi, a 48 anni, posso dire che sono state uno dei gesti d’amore più belli dei miei genitori addottivi. Era un modo per proteggermi, ma allora montava la rabbia. Per un paio di anni ho nutrito rancore nei loro confronti. Poi ho imparato a perdonare e ho perdonato. È come quando apri un libro e impari a leggerlo, non da protagonista ma da spettatore. Ho capito che, sia dalla parte livornese che dalla quella fiorentina, c’era un sentimento d’amore.
C’è voluto tanto tempo, tanta psicoterapia, ho fatto diversi percorsi per sciogliere i dubbi e cercare di cadere sempre in piedi. Ancora oggi, ogni volta che racconto la mia storia, sono invasa da una sorta di elettricità. Però magari serve a trasmettere un messaggio a chi si trova nella mia condizione. Non si deve aver paura di affrontare le situazioni e soprattutto di accettarsi così come si è, imperfetti e poliedrici ma, proprio per questo, unici, bellissimi.