TRADURRE È UN ORIZZONTE
Ogni giorno abbiamo a che fare con decine di opere – letterarie, televisive e molto altro – che per arrivare a noi hanno bisogno di essere tradotte da un’altra lingua: nel caso di questo articolo, l’inglese. Ma il lavoro del traduttore è un’attività che fatica ad avere un’identità precisa, perché viene dato per scontato. Il che è un errore, perché ci sono traduzioni accurate ma anche traduzioni dozzinali. Non sono mai stato un traduttore tout-court. Io prima di tutto sono un autore e tradurre ha sempre rappresentato un’opportunità per entrare nella fibra del tessuto creativo col quale ripercorrere la progettualità del testo e la sua realizzazione. Un mezzo di trasporto intellettuale, fin da quando in adolescenza mi dilettavo a tradurre articoli e testi di canzoni. La lettura di libri, il colloquiare per lavoro in inglese, l’ascolto di film e broadcast in originale, i viaggi, interpretare poeti indigeni come il Cheyenne Lance Henson e il Sioux-Santee John Trudell mi aiutarono a collocare la traduzione in una posizione privilegiata. Fu proprio Henson, all’Earth Day del 1991 ad Albany, capitale dello stato di New York, a farmi scrivere alcune poesie in inglese da leggere in pubblico. Fu un’epifania che riuscì ad avvicinare due sfere solo in apparenza distanti tra loro: scrittura e traduzione. Perché fra l’altro la traduzione è, a tutti gli effetti, scrittura.
Tradurre è pur sempre una mediazione culturale e mi ha portato a proporre cosa tradurre e come curare l’apparato critico di un’opera. Per esempio Jack London. Studiarlo mi ha fatto venire voglia di ritradurlo ma anche di voler rivedere alcune interpretazioni discutibili della sua scrittura. Per tradurre Preparare Un Fuoco, formidabile racconto che nella mia traduzione è diventato l’architrave dello spettacolo di Marco Paolini Ballata di uomini e cani (si trova su RaiPlay), è stato fondamentale cambiargli il titolo italiano: l’originale To Build A Fire significa esattamente quello e nell’inverno artico, a meno cinquanta gradi, il fuoco non lo “fai” ma lo “prepari”. Il lungo lavoro, non accademico, su London, mi è valso l’invito a fare parte del comitato consultivo editoriale per i trenta volumi di The Complete Works of Jack London, in lavorazione per Oxford University Press.
Se è vero che sono soprattutto autore di libri, podcast, reportage, progetti geopoetici scritti e presentati in inglese come per il volume Rocklines (Minett UNESCO Biosphere in Lussemburgo), oppure l’ampio progetto In The Garden Of Arctic (Bodø2024 Capitale Europea della Cultura), lavorare “in lingua” significa pensare in quella lingua. Il che mi è sembrato fondamentale quando iniziai a leggere e studiare Barry Lopez. Scomparso nel 2020, Lopez è stato un grande maestro e un caro amico. Tradurlo in italiano, spiegai a Barry, significava tradurne il pensiero ancora prima della lingua così unica, innovativa nei concetti e nella costruzione. Mi sentivo pronto. Ero un autore che che viaggiava e volevo scrivere utilizzando quell’approccio che lui, magistralmente, ci stava insegnando. Occorreva qualcuno che avesse un senso di quella che lui battezzò “intimate geography”. Nel continuo confronto ho trovato una chiave interpretativa della sua poetica e se da un lato esploravo - costruendo la mia identità autoriale - dall’altro avevo le mie radici culturali intrise di letteratura angloamericana dedicata al territorio selvaggio, alla wilderness, alla dinamica degli spazi aperti, alla riflessione ecologica spirituale.
Avere la possibilità di confrontarti con l’autore che stai traducendo ti garantisce maggiore fedeltà al suo lavoro e di portare qualcosa di nuovo nell’esposizione scritta in italiano. Così dopo altre opere come Una geografia profonda, quando l’editore Black Coffee ha acquisito i diritti dell’opera costruita nell’arco di trent’anni, Horizon, ho tradotto Barry senza potermi confrontare con lui ma portando dentro tanto sentire e tanto pensare comune. L’altissima qualità della scrittura, la complessità di quest’opera in cui l’autobiografia è al servizio delle più pressanti domande sul destino umano, il rapporto sottile e peculiare tra paesaggi, culture, viaggi, che rendono unica la vita e l’opera di Barry Lopez per me traduttore sono diventate un viaggio senza pari in quasi quarant’anni di carriera editoriale. Un’impresa che ha cambiato il mio approccio alla traduzione. Perché tradurre, per un autore, è dopotutto un orizzonte che, spostandosi, definisce meglio le proprie diverse identità letterarie.