THE PICTURE OF DORIAN GRAY - Oscar Wilde, 1891
“Diversity of opinion about a work of art shows that the work is new, complex, and vital”.
L’eccentrico Oscar Wilde, il dandy di fine Ottocento ci regala una visione del mondo e della vita che è ancora estremamente moderna ed attuale. Cresce a Dublino e studia ad Oxford dove si fa riconoscere immediatamente per il suo wit e la sua innata capacità di stupire ed affascinare colleghi ed amici. Dopo la laurea nel 1878 si trasferisce a Londra, dove diventa il maggior rappresentante dell’Estetismo inglese ed europeo. Vive una Londra vittoriana, carica di quei valori della classe media, la borghesia, che la rendono una società rigida, fredda, dove le categorie sociali (uomo/donna, giovane/vecchio, ricco/povero, lavoratore/disoccupato, ecc.) segnano il destino delle persone in modo netto, deciso, senza possibilità di scampo.
Eppure, Wilde si distingue e offre una nuova idea di diversità. Sfidando le convenzioni sociali e letterarie del tempo, invita a non temere l’altro, l’alterità, che viene presentata come una ricchezza. Già in The Canterville Ghost del 1887, Wilde aveva anticipato la tematica della moltiplicazione delle identità, che troverà massima espressione nel suo capolavoro letterario, il romanzo con il quale oggi riconosciamo la grandezza dell’autore ma soprattutto dell’uomo.
Oggi. Perché in realtà The Picture of Dorian Gray non diede molta notorietà al suo autore (notorietà che invece ebbe grazie alle brillanti commedie, che lo portarono ad avere grande successo); anzi, il romanzo danneggiò la reputazione dell’artista poiché fu considerato immorale.
Oltre allo scandalo letterario, Wilde dovette affrontare negli stessi anni anche uno scandalo personale, che segnò ineluttabilmente la sua vita. Fu accusato dal padre del suo amante di atti sodomiti e condannato a due anni di prigione e lavori forzati. (Solo nel 1967 l’Inghilterra ha abolito il Buggery Act, una legge del 1533 che prevedeva il carcere – e prima del 1861 anche la pena di morte – per coloro che commettevano “reato di omosessualità”. In Scozia la legge fu abolita nel 1979 e in alcuni Stati degli USA nel 2003. La legge è ancora in vigore in numerose ex-colonie inglesi, tra cui l’India e la Malesia!).Wilde ebbe una vita diversa, fece della propria esistenza un’opera d’arte, esattamente come il protagonista del romanzo, Dorian Gray, giovane uomo che vende la propria anima in cambio della bellezza eterna. Avendo ricevuto in dono da un amico pittore un ritratto, Dorian si lascia affascinare dall’idea di fermare il tempo e sogna di poter restare giovane e bello per sempre, proprio come l’uomo ritratto nel quadro. Il desiderio si realizza e, mentre Dorian dedica la vita ad una sfrenata e illegale ricerca del piacere e al soddisfacimento delle pulsioni più nascoste, il quadro comincia a mostrare i segni dell’età e delle malvagità compiute. La storia è profondamente allegorica, una rivisitazione tardo Ottocentesca del Mito di Faust. Per poter esaudire i propri desideri Faust è disposto a scendere a patti con il male, a cedere l’anima - invisibile e quindi facile da sacrificare -. Nella nostra epoca e nella nostra società l’immagine di un “patto con il diavolo” non fa più paura. Ma i bisogni che spingono Faust e Dorian a cercare di vendere la propria anima a Mefistofele ancora ci toccano: il desiderio di una nuova giovinezza, di conoscenza (come nella versione di W. Goethe), la ricerca della saggezza, del potere (come nel dramma di C. Marlowe) o anche di quella forma di potere che è la perfetta riuscita artistica (come in T. Mann). Nel romanzo di Wilde l’anima è il ritratto. Ritratto che porta i segni del tempo, della corruzione, dei tanti peccati che si celano dietro la maschera della bellezza senza età di Dorian. Scardinando l’assunto rinascimentale per cui a bellezza fisica corrisponde bellezza spirituale, Wilde ci vuole ricordare l’ipocrisia che si cela dietro la maschera della società vittoriana, cui lui appartiene. La deformità del ritratto rappresenta immoralità e corruzione non solo di Dorian, bensì della borghesia tutta, sul finire dell’Ottocento in Inghilterra. Scrive Wilde nell’ultimo capitolo del romanzo: “Wicked people were always very old and very ugly (…). It was his beauty that had ruined him, his beauty and the youth that he had prayed for”. È ancora così attuale questa citazione! Siamo davvero convinti che la bellezza esteriore e la giovinezza a tutti i costi siano ancora ideali cui ambire? Costi quel che costi? Quale valore diamo all’essere vecchio, oggi?
“The Happy Prince, l’ultimo ritratto di Oscar Wilde” opera cinematografica (2018) diretta ed interpretata da Rupert Everett, sembra voler affermare il diritto alla vecchiaia. Il film ci consegna un individuo a tutto tondo nell’epilogo della propria esistenza. Il genio letterario, l’individuo trasgressivo e dalla sessualità ambigua, lascia spazio all’uomo, ad un uomo che mostra la sua anima fragile, minata da eventi traumatici che hanno generato derive autodistruttive, senza tuttavia alterare i tratti fondamentali del suo carattere che lo rappresentano al meglio e che fanno di Oscar Wilde l’artista senza tempo, per eccellenza.
MICHELA FUMAGALLI, 1978, laurea in Lingue e Letterature straniere, insegna lingua e cultura inglese presso il Liceo Artistico Giacomo e Pio Manzù