SUMAIRA LATIF - Global Leader di inclusive Design Procter & Gamble
A cura della Redazione
Procter & Gamble è la prima azienda in Italia ad adattare gli spot pubblicitari dei suoi marchi principali per renderli accessibili anche alle persone con disabilità visive e uditive incorporando una narrazione audiodescrittiva e i sottotitoli. La multinazionale, in collaborazione con UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), lo ha annunciato nello scorso mese di luglio. La prima pubblicità di questo tipo è del marchio Gillette®, leader globale nel campo della rasatura e del grooming. “In P&G assumiamo dipendenti in grado di riflettere la diversità delle persone che acquistano i nostri prodotti. Queste includono anche le persone con disabilità, perché quanto più saremo in grado di capirne i bisogni, maggiormente saremo in grado di soddisfarli” ha esordito così Sumaira Latif, incontrata a margine del seminario “Design Impact” organizzato dal Politecnico di Milano e che ha coinvolto studenti e studentesse del corso di Industrial Design.
Sumaira Latif, grazie del Suo tempo innanzitutto. Può raccontarci chi è, come ha perso la vista e come ha affrontato la situazione?
Mi chiamo Sumaira, ma la maggior parte delle persone mi chiama Sam. Faccio parte della prima generazione di scozzesi pakistani e sono cresciuta a Glasgow. Sono nata con una rara patologia genetica conosciuta come “retinite pigmentosa”, che significa che non avrei mai potuto vedere molto più di come si vede attraverso lenti strette e sfocate. Più crescevo più perdevo la vista. Da bambina non realizzai quanto fossi fortunata a poter leggere tante parole fino a quando, a 16 anni, non fui più in grado di leggere. I miei fratelli, uno più grande e uno più giovane, soffrono della medesima patologia; ho inoltre una altra sorella ed un fratello che invece vedono perfettamente. Perseveranza, resilienza e determinazione mi hanno aiutata a raggiungere i miei obiettivi. L’aspirazione iniziale era quella di ottenere ciò che pensavo di volere: una vita “normale”. Ma fare cose “normali” era incredibilmente difficile da giovane cieca. Cose semplici come leggere un libro, attraversare la strada, vedere le ultime tendenze della moda o un film erano impossibili da fare. Allora mi sono concentrata su poche cose che erano importanti, come concludere l’università, diventare il più indipendente possibile, trovare un lavoro.
Come è arrivata in Procter & Gamble?
Quello in P&G non è stato il primo incarico ma certamente il più emozionante. Per me fu “un miracolo” trovare lavoro al termine dell’università, presso Arnold Clark, il più grande rivenditore di auto della Scozia, che mi notò durante una fiera, parlammo a lungo e mi offrì un lavoro nell’azienda. Voleva che lavorassi per lui e chiese al management di creare un ruolo che si adattasse alle mie competenze. Mi sentii fortunata per l’opportunità. Un anno dopo sono stata avvicinata da un ente di beneficenza che stava aiutando P&G ad assumere persone con disabilità e mi è stato chiesto di candidarmi. In precedenza, mi ero abituata ai rifiuti di grandi aziende che mi dicevano che, anche se il colloquio era andato bene, non erano abituati ad assumere persone cieche. In molti credono non ci sia modo per una persona non vedente di utilizzare un file excel. Inviai dunque con riluttanza la candidatura immaginando però che sarebbe stata un’esperienza volare a Londra negli uffici di P&G per sostenere il colloquio. Invece rimasi stupefatta: feci un test, fui intervistata tre volte da tre persone differenti e, alla fine della giornata, mi fu offerto un lavoro. Non ci credevo. Ma Mike Bowden, direttore Information Technology, che stava selezionando e assumendo persone disabili in P&G e a lui devo molto. Rifiutai il lavoro in P&G. Avevo rinunciato perché i miei genitori non si fidavano a mandarmi a Londra da sola, una ragazza pakistana scozzese. Mike parlò con i miei, rassicurando che sarei stata accudita. Mandò una persona a Glasgow per incontrarli e rispondere a tutte le domande. Così, acconsentirono che provassi per 6 mesi. Il resto è storia!
Quali sono stati i motivi che Le hanno fatto capire che c’era bisogno di un design inclusivo in P&G?
Riflettendo, ogni fase del mio percorso dalla selezione in poi non è mai stata del tutto inclusiva. C’erano opportunità di miglioramento per tutti. Tre anni fa ho scoperto che dei 5 miliardi di consumatori che raggiungiamo in tutto il mondo il 20% di questi ha una qualche forma di disabilità. Sono mamma, ho usato molti prodotti P&G, alcuni con facilità, altri con difficoltà. Non ho mai potuto leggere da sola il risultato del test di gravidanza Clear Blue, è stata una sfida capire le taglie dei pannolini Pampers, la differenza tra la crema giorno e la crema notte Olaz, distinguere uno shampoo e un balsamo Herbal Essences. Ho iniziato a valutare i nostri prodotti in termini di accessibilità. Recentemente ero passata dall’utilizzo del detersivo liquido Ariel (Dash) ad Dash Pods e l’ho trovato incredibile perché non dovevo più preoccuparmi di misurare il detersivo. Mi vennero parecchie idee su ciò che P&G avrebbe potuto fare per diventare accessibile ma non avevo una tabella… finché non ne parlai con Julio Nemeth. Era il mio manager e Chief Supply Officer di P&G. Julio non solo ha perorato e sostenuto la mia causa con il nostro CEO, ma mi ha promossa al ruolo di Company Accessibility Leader. Sono stata la prima donna ipovedente, asiatica britannica Direttore associato di P&G. Questo ruolo mi ha permesso di lavorare con diversi reparti aziendali per identificare, modificare e implementare l’accessibilità dei prodotti alle persone con disabilità, ai loro amici e familiari. Quest’anno negli Stati Uniti e in Canada abbiamo implementato “strisce tattili” per lo shampoo e “cerchi tattili” per il balsamo sulle bottiglie di Herbal Essences Bio Renew permettendo alle persone cieche di distinguerle.
Ci può raccontare alcune delle innovazioni delle quali va più fiera e che hai visto svilupparsi durante il tuo percorso?
Abbiamo lanciato Herbal Essences e ClearBlue sulla piattaforma “Be My Eyes” che consente ai consumatori ipovedenti di video chiamare per avere consigli su capelli o letture dei test di gravidanza. E poi le pubblicità, fruibili alle persone non vedenti.
Ci racconti com’è andata.
Un giorno ero seduta in una stanza alcune delle migliori menti del global marketing di P&G. Stavano riguardando le più importanti pubblicità e mi sono sentita esclusa. Non solo non capivo perché la gente ridesse o cosa stesse mostrando lo spot, ma spesso non riuscivo nemmeno a dire quale marchio stesse promuovendo lo spot. Così ho pensato: “Se Disney può inserire nei suoi film la descrizione audio per i ciechi, perché non può farlo P&G nella pubblicità?” Solo poche parole che descrivano l’azione a beneficio dei non vedenti. Nessun intralcio essendo attivabile attraverso le impostazioni sul monitor. Rientrando a casa ho realizzato che l’onere di questo cambiamento sarebbe stato mio. Pochi giorni dopo ho ascoltato l’annuncio delle Paralimpiadi “Siamo i Superumani” dove atleti con tutti i tipi di disabilità facevano tutto, dal lavarsi i denti allo sport, sfatando i luoghi comuni. Ho inviato l’annuncio (audio descritto) a Marc Pritchard, il Chief Marketing Officer di P&G, chiedendo se si potesse fare lo stesso per i nostri annunci. La risposta fu chiara. “Sicuramente” disse, “dobbiamo farlo sui nostri spot per le Olimpiadi”. Nel giro di pochi giorni ho creato “Flash Dog” il primo spot nel Regno Unito con descrizione audio e lo spot per le Olimpiadi “Grazie di cuore mamma” e li ho inviati a Marc. Li ha approvati e sono andati immediatamente in onda. Oggi includiamo descrizioni audio in tutte le pubblicità in UK (siamo il primo inserzionista a farlo): consentono a consumatori non vedenti e ipovedenti di ascoltare una descrizione delle azioni nello spot. Vorremmo farlo anche in Italia. P&G ha adattato lo spot di Gillette “Shave like a bomber” ma i broadcasters italiani non possono mandarlo in onda perchè non hanno la tecnologia necessaria per trasmetterlo. Le emittenti italiane dovrebbero investire in questo, sarebbe un passo importante verso un mondo più inclusivo.
Ma le pubblicità da sole non bastano.
No, servono anche prodotti inclusivi. Le Dash Pods hanno semplificato il bucato per tutti. In particolare per le persone con problemi di cognizione, visione o destrezza.
Ci può raccontare come è riuscita ad identificare il potenziale dell’azienda e a convincere le persone internamente?
Questo non è solo un obbligo morale o sociale, è la cosa giusta da fare nell’utilizzo dei nostri marchi per fare del bene e diventare una forza nell’inclusione. I dati di mercato relativi alla disabilità esistono. Entro il 2030 più famiglie saranno composte da persone di età superiore ai 50 anni. Più si invecchia, più disabilità si sviluppano. Vogliamo garantire che le persone continuino a utilizzare i nostri prodotti ciononostante. Combinare le statistiche con un’esperienza coinvolgente per sperimentare - in prima persona - cosa significhi utilizzare i prodotti che aiutano le persone con disabilità, è stato utile per la nostra attività e per i dipendenti. Queste esperienze immersive, note come “Disability Challenges”, hanno portato le aziende a guadagnare in empatia e ad agire conseguentemente per rendere accessibili prodotti e servizi.
Che consiglio ha per altri leader che vorrebbero andare nella stessa direzione e rendere i marchi più inclusivi?
Mi auguro che sempre più leader e aziende possano intraprendere questo viaggio. Spero che molte aziende seguano, in Italia, l’esempio di P&G per creare un Paese più inclusivo. Lavorare su progetti di inclusione è una vittoria per tutti. Per i consumatori disabili spesso dimenticati ma anche per il business delle aziende (che aumentano il numero di persone che possono utilizzare e acquistare i prodotti). E, non ultimo, è una vittoria per i dipendenti, perché lavorano su prodotti e servizi vedendo l’impatto reale che questi hanno sulla vita delle persone. È stimolante e spinge risultati di maggior successo.