Futurigenerazioniarte

Silent generation

1925 - 1946
A cura di Francesca Lai
14 Ago 2023

Mario Donizetti, una vita segnata da successi: nel biennio 1983-84 una mostra antologica nelle Sale della Pinacoteca Ambrosiana di Milano; una sua “Crocifissione” acquisita dal Museo del Tesoro della Basilica di San Pietro in Vaticano, dove è esposta in permanenza. Ricorda quando ha deciso di voler dipingere?

Quando frequentavo le scuole elementari c’era il fascismo, vivevamo un clima di povertà e rigore. Ricordo che a scuola avevo una gran voglia di disegnare sul quaderno due albicocche, ma temevo di ricevere una punizione per questo. Io lo feci comunque e lo portai alla maestra che scrisse: “lodevole”. Fu una cosa inaspettata: le avevo regalato un po’ di bellezza. Da quel momento ho capito che l’arte, come la cultura, non sono fine a sé stesse. La bellezza vive in ciò che è utile, che fa stare bene. Quindi decisi che avrei preso ogni mia decisione ponendomi prima queste domande: è utile? Fa del bene?

Da giovane ha dovuto preoccuparsi per il mantenimento della sua famiglia?

Sì, era così per molti giovani. A 14 anni sono andato a lavorare in fabbrica, facevo il falegname per mantenermi e aiutare la famiglia. Mi svegliavo alle sei del mattino, dopo il lavoro andavo a disegnare e mi addormentavo a mezzanotte, così fino ai diciotto anni. A 19 anni realizzavo la pala d’altare della Basilica di Pontida, a 36 anni gli affreschi nella stessa chiesa. A ventitré anni tenevo la mia prima personale alla galleria Ranzini di Milano: vendetti quaranta quadri in tre giorni. fu un vero successo. Mi sono impegnato, per curare la mia famiglia e per realizzarmi.

In quel periodo pensava al futuro?

Non avevo una idea di futuro, ma ci pensavo sempre. Ho impostato la mia vita futura a partire da quel “lodevole” scritto dalla maestra sul quaderno. Dentro di me dicevo: mi piacerebbe essere il più grande pittore vivente.

Allora il futuro era per lei e i suoi coetanei una fonte di preoccupazione?

Il futuro non era un problema. Era scontato che ognuno avrebbe trovato la propria strada, un lavoro, un posto nel mondo. Ci sentivamo sicuri del nostro destino e bastava poco per essere felici. Non vivevamo l’angoscia che provano oggi ragazzi e ragazze, colpiti da una enorme insicurezza.

Che rapporto avevate con le persone anziane?

Nella storia dell’Uomo il rapporto tra anziani e giovani è sempre stato conflittuale. Nonostante questo, ricordo che la persona anziana era una figura quasi sacra, non poteva essere insultata, era ascoltata e rispettata. Vecchi e vecchie erano allora percepiti come membri attivi della società, impegnati nello sviluppo dei giovani e della comunità. Oggi non è più così: il rapporto tra anziano e giovane è diventata, a mio avviso, più difficile e meno produttivo. È come se le persone anziane suscitassero negli altri un senso di fastidio perché considerate un peso, non utili. La filosofia è un’altra sua grande passione. Secondo lei cosa è il futuro? Il futuro è il progetto del corpo attuale, ossia del presente. Il corpo in atto può progettare il futuro spirituale. Siamo noi che ci costruiamo il nostro futuro, lo hanno sempre detto gli antichi. Il futuro è il progetto del bene dell’uomo, che poi non lui non riesca a realizzarlo è un altro discorso.

Come vede ora il suo futuro?

A 93 anni? Sottoterra. Nel 2020 è venuta a mancare mia moglie Costanza, con lei ho vissuto una vita straordinaria. Lei era il mio futuro, lo è stata per sessant’anni. Anche se non è facile ritrovarsi da soli, continuo a dipingere, studiare, scrivere. A breve inaugurerò a Bergamo un centro di ricerca in cui pittori e artisti possano confrontarsi, un punto di riferimenti per la comunità artistica e culturale.

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