
SI PUÒ FARE DI PIÙ
In vari settori e Paesi persiste una disparità di genere nella forza lavoro. La pandemia ha causato un’ulteriore diminuzione della parità di genere su scala globale, nonostante i progressi riscontrati nell’ultimo decennio. Per capire quali disuguaglianze e opportunità sono presenti per la componente femminile della forza lavoro, Indeed, il sito web numero 1 al mondo1 per la ricerca di lavoro, ha condotto un sondaggio tra oltre 14.500 persone che si identificano come donne di 11 Paesi: Australia, Canada, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti. Il report, pubblicato in Italia lo scorso marzo, rivela i risultati principali riguardanti la retribuzione, l’avanzamento di carriera, il benessere, il sostegno e il senso di appartenenza.
Entrando nel dettaglio della tematica analizzata in questo numero di DiverCity, la ricerca evidenza che, a livello globale, più della metà delle partecipanti al sondaggio ritiene che la propria azienda sostenga le donne in gravidanza (58%), le madri lavoratrici (54%) e il congedo di maternità (51%). In India si riscontra un livello di supporto in questi ambiti più elevato rispetto agli altri Paesi esaminati. Secondo la maggioranza delle partecipanti, le donne in gravidanza costituiscono il gruppo che riceve il maggiore supporto dal proprio Paese (50%). Questa affermazione vale per tutti i Paesi esaminati a eccezione
di Singapore e del Giappone, dove le donne ritengono che la maternità e l’assistenza finanziaria per il congedo siano le aree in cui ricevono il maggiore supporto. Al contrario, meno del 20% delle donne a livello globale ritiene che il proprio Paese assista le donne che soffrono di cicli dolorosi, che stanno entrando in menopausa, che desiderano congelare gli ovuli o ricorrere a trattamenti di fertilità.
Un altro aspetto messo in luce è la percentuale, a livello globale, delle donne che lavorano da casa (42%), simile completamente o parzialmente a quella delle donne che lavorano in sede. Le donne desiderano flessibilità sul luogo di lavoro: quasi due terzi (60%) di loro indicano che vorrebbero lavorare da casa, perlomeno parzialmente. Lo studio rivela poi che preferirebbero lavorare meno ore: la maggior parte delle donne intervistate infatti lavora almeno 31 ore a settimana. Parlando invece dell’impatto della tecnologia sul benessere e sulle loro giornate, oltre due terzi (67%) di loro sostengono che l’aumento dell’adozione della tecnologia nel luogo di lavoro avrà un impatto positivo soprattutto sull’equilibrio lavoro/vita privata. Allo stesso tempo, però, oltre un terzo delle donne ritiene che il più grande svantaggio della tecnologia consista nel rendere più difficile la disconnessione dal lavoro.
E nello specifico cosa racconta della situazione italiana l’indagine, sempre focalizzandosi sulla tematica Famiglie? Secondo le partecipanti italiane, le aziende potrebbero impegnarsi di più nel sostegno alle donne. Solo il 17% di loro ritiene che le donne in menopausa ricevano un supporto sufficiente da parte della propria azienda, a fronte della media a livello globale pari al 26%. Analogamente, solo il 37% crede che la propria azienda sostenga adeguatamente le madri lavoratrici, a fronte della media a livello globale pari al 54%. Le partecipanti italiane pensano inoltre che per gli uomini sia più facile avanzare a livello professionale a causa del sessismo o dei bias inconsci insiti nella società (55%) e nelle aziende dove lavorano (46%). Solo il 39% di loro è convinta che la propria impresa stia promuovendo un numero sufficiente di donne a ruoli dirigenziali, a fronte della media a livello globale pari al 45%.Più della metà delle intervistate ritiene che il suo stipendio (56%) e il suo pacchetto di benefit (57%) non siano adeguati al lavoro svolto. Proporzioni che crescono significativamente in Italia, dove il 63% delle lavoratrici intervistate ritiene di essere sottopagata. Ciò nonostante, solo il 38% delle italiane ha chiesto nell’arco della propria carriera un aumento di stipendio, a fronte di una media globale del 43%. Gli unici Paesi a registrare percentuali inferiori sono Giappone (13%) e Singapore (32%). La mancanza di fiducia in se stesse (14%) o la mancanza di informazioni su quale sia lo stipendio adeguato al proprio ruolo (13%) non sono gli aspetti che hanno maggiormente frenato le donne italiane. Quasi il20%, infatti, indica di non averla nemmeno considerata come un’opzione percorribile, mentre il 31% non ha avanzato pretese per timore di conseguenze negative. Ma chiedere, alla fine, funziona? Il 22% delle lavoratrici che ha domandato un aumento lo ha ottenuto. Il 44% si è vista accordare una cifra inferiore alle proprie richieste, mentre 1 donna su 3 non ha ottenuto alcun incremento salariale.
«In Italia – commenta Romina Zanetel, country marketing senior specialist di Indeed – le donne sono meno a proprio agio degli uomini nel chiedere aumenti o nell’esigere una giusta retribuzione, anche perché non è facile avere accesso a informazioni sui compensi medi dovuti per determinati ruoli e mansioni. Sono convinta che la trasparenza salariale giocherà un ruolo fondamentale per superare barriere che, ancora oggi, limitano fortemente la realizzazione professionale femminile». A fianco delle normative – continua – «sarà importante che i datori e le datrici di lavoro si impegnino per creare degli ambienti professionali inclusivi, capaci di far emergere i talenti, superando pregiudizi inconsci. Valorizzare la diversità, inclusa quella di genere, non è solo una questione di giustizia ed equità, ma è un imperativo strategico. Sono ormai all’ordine del giorno gli studi che evidenziano come le aziende che possono contare su una forza lavoro più bilanciata tra uomini e donne ottengano performance economiche migliori di quelle meno equilibrate».