ACHTUNG GRENZE
A 16 anni ho visitato il confine tra la due Germanie: filo spinato, vecchie torrette, cartelli arrugginiti, sconfinate aree brulle con soldati qua e là. Sembrava uno scenario di guerra da film, un paesaggio indecifrabile, un luogo assurdo per me e i miei compagni di classe.
Mi ha colpito molto quel filo spinato, quel voler separare, dividere, allontanare due mondi praticamente identici.
Negli anni l’Unione Europea, gli accordi di Schengen e la libera circolazione in Europa, la moneta unica, la tecnologia, la globalizzazione, la facilità di viaggiare, comunicare e attraversare i continenti in aereo mi hanno fatto dimenticare quell’immagine e il concetto stesso di confine si è smussato ed è quasi scomparso dalla mia mente.
Poi è arrivato il COVID, che ha varcato ogni confine geografico, senza alcun passaporto o visto. Senza preavviso, sono arrivate le guerre vicino a noi, ai nostri confini, e dal sud del mondo, anche a causa della povertà e dell’assenza di acqua, cibo e democrazia, intere popolazioni hanno iniziato a cercare nuove opportunità in Europa: nessun passaporto, visto, biglietto aereo, albergo, solo la disperazione di chi è pronto a perdere la vita pur di non vivere più – e di non far vivere ai propri figli – dolore e sofferenza (e la spietatezza di chi da quella disperazione ha creato un traffico umano senza confini, in ogni senso). Poi all’improvviso è esplosa la situazione nella striscia di Gaza: un confine molto chiaro a Israele ma che tutti noi avevamo rimosso, dimenticato, e le immagini terribili di violenza, odio, vendetta e morte sono tornate.
Sono stati ridisegnati i confini tra bene e male, tra popoli ricchi e poveri, tra persone sane e persone malate, tra persone libere e persone prigioniere di dittature e povertà. Sono caduti i confini delle nostre certezze e l’orizzonte si è fatto più buio.
Oggi, per annientare quel buio è necessario provare a convivere con il presente, a saper guardare alla diversità e a farne tesoro, a mettere in discussione i confini tra le persone, i paesi e le culture.
Per questo, dobbiamo al più presto trovare un modo per vedere e vivere la ricchezza di esperienze, storie, tradizioni, valori e religioni di mondi a noi lontani e che la tecnologia ha spesso unito. Dobbiamo riuscire a mettere in discussione il confine tra abilità e disabilità e garantire, ma farlo per davvero e universalmente, i diritti fondamentali.
Siamo noi, oggi, a decidere dove collocare i nostri confini e soprattutto quelli dei nostri figli e delle nostre figlie, che stanno conoscendo una società che, a suo modo, sa essere libera e aperta: una rivoluzione che si chiama contemporaneità, educare alla contemporaneità.
Dobbiamo imparare a guardare lontano, al futuro del pianeta nella sua globalità, perché anche la sostenibilità ambientale e sociale non conoscono confini. Per costruire un domani che sia davvero per tutti e tutte servono soluzioni, politiche e progetti condivisi, ma serve soprattutto vivere e comprendere appieno la contemporaneità, che è fatta da ciò che accade e da confini sempre meno definiti e definitivi. Le nostre stesse certezze non hanno più confini e questo non deve farci paura, ma aprirci a un futuro da protagonisti del cambiamento.
Liberi sì ma di fare del bene.