Scienze e tecnologie

SEX ROBOT: L’AMORE AL TEMPO DELLE MACCHINE

di Maurizio Balistreri
A cura di Alice Pezzin
28 Nov 2023

Viviamo in un mondo in cui gli avanzamenti tecnologici sono all’ordine del giorno. Si potrebbe obiettare che è sempre stato così, e che il progresso e la spinta a superare i propri limiti siano due elementi intrinsechi della natura umana. Ma è innegabile che negli ultimi decenni il ritmo sia accelerato, basti pensare ai cellulari: negli anni ’80 non erano altro che ingombranti cornette con tanto di antenna estraibile per fare e ricevere chiamate, eppure non ci hanno messo molto a evolvere negli smartphone che oggi possediamo tutt* e che ci danno la sensazione di avere il mondo in tasca. Non solo: abbiamo anche TV interattive, dispositivi che accendono e spengono le luci di casa con un solo comando vocale e macchine che si guidano da sole, per non parlare poi dello sviluppo dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale.

Non deve stupire, quindi, che la presenza sempre più massiccia delle nuove tecnologie arrivi a toccare anche gli ambiti della vita finora considerati puramente “umani”: quelli più intimi e personali. È quanto racconta Maurizio Balistreri nel suo saggio “Sex robot: l’amore al tempo delle macchine” (Fandango Libri, 2018), in cui esplora la possibile evoluzione dei cosiddetti sexbot (robot dalle sembianze umane pensati per il piacere sessuale) e le loro implicazioni dal punto di vista sociale.

L’utilizzo di apparecchi tecnologici nel sesso non è una novità, data l’esistenza di sex toys come vibratori o anelli, ma anche di dispositivi teledildonici, che traducono input digitali remoti in sensazioni fisiche, permettendo alle persone di avere rapporti a distanza attraverso un computer (cybersesso).

Eppure, l’idea di robot umanoidi pensati per soddisfare qualunque fantasia a molt* risulta respingente, forse proprio per la somiglianza con esseri umani reali (nonostante i prototipi siano ancora grezzi) e la tendenza a giudicare istintivamente in maniera negativa chi fa uso di certi supporti. La sensazione di repulsione aumenta, poi, quando si apprende che esistono sexbot programmati per opporre resistenza alle avances, o altri con le sembianze di bambin*. È ovvio che davanti a certe proposte il dibattito si incendi: sex robot di questo tipo potrebbero normalizzare atti orribili e criminali come lo stupro o gli abusi su minori, diminuendo la capacità dei loro possessori (ancora in prevalenza maschi) a distinguere tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Senza arrivare a questi eccessi, anche un sexbot “classico” potrebbe rafforzare la convinzione che le donne siano alla stregua di oggetti inanimati a cui si può fare tutto in qualunque momento.

Balistreri però prende in considerazione anche l’altra faccia della medaglia: questi robot potrebbero essere una forma di protezione per le categorie più fragili che a prima vista sembrano vittimizzare? Alcuni studi stanno cercando di valutare se il loro utilizzo possa avere finalità terapeutiche e riabilitative per autori di reati sessuali o addirittura pedofili, che in questo modo avrebbero l’occasione di sfogare i propri impulsi nocivi su figure umane incapaci di soffrire, in modo da non arrecare danni a persone reali.

I sexbot potrebbero rappresentare un’alternativa al sesso a pagamento (ad esempio, in alcune città come Barcellona i bordelli di sole sex doll sono già una realtà) e, secondo alcuni, questo potrebbe avere un impatto positivo laddove la prostituzione non è una libera scelta, anche se, di contro, molt sex worker rischierebbero di ritrovarsi senza lavoro. In ultimo, i “robot del sesso” potrebbero offrire uno strumento per le persone disabili, i cui bisogni sessuali spesso vengono soffocati e ignorati. Al di là dei dubbi e degli entusiasmi, che troveranno conferma o smentita soltanto quando e se i sexbot cominceranno a diffondersi in maniera omogenea, resta una domanda a cui trovare risposta: ma davvero in futuro ci sembrerà allettante fare sesso con un robot?

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