Privilegi e alleanze

Sense of entitlement

Rubrica OLTRE LO SPECCHIO
A cura di Igor Šuran
18 Dic 2024

Il mio lavoro mi porta spesso a parlare di come il significato delle parole possa cambiare nel tempo. Vi è una parola di cui parlo spesso e che è tuttora capace di creare in me un appena percettibile senso di timore: che cosa ne penserà chi mi sta ascoltando? Il privilegio. Potremmo riempire le pagine di questa rivista con le definizioni di questa parola e tuttora non riuscire ad arrivare alla vera questione: perché è così difficile aprire le menti e vedere nel privilegio un grande ostacolo e allo stesso tempo una grande opportunità nel nostro viaggio verso un mondo più equo e inclusivo? In sociologia il privilegio sottintende un accesso facilitato a risorse di valore per la semplice appartenenza ad un gruppo sociale - vantaggi innati, non collegati a merito o capacità. Scrive Chiara Volpato: “La cultura del privilegio tende, per sua natura, a normalizzare la disuguaglianza, cancellandone l’origine storica e facendola percepire come naturale, scontata, ineliminabile.” Il privilegio crea il senso di entitlement, parola inglese che noi traduciamo con una poco precisa “sensazione di avere un diritto”. Ma quale diritto, mi chiedono quando parlo dell’inclusione rispetto agli orientamenti affettivi e alle identità di genere? Quale diritto ci siamo prese noi persone “normali”, quale diritto che “loro” non hanno? E questo è il punto. Noi persone “normali” non ci siamo prese alcun diritto. Non l’abbiamo guadagnato, non l’abbiamo conquistato. Ce lo siamo trovato in questo mondo in cui nasciamo e viviamo. Non è un diritto o un privilegio che ci viene dato perché abbiamo fatto un qualcosa di straordinariamente meritevole, non ce lo siamo guadagnato perché abbiamo fatto una scelta coraggiosa. Eppure ce l’abbiamo. 
Allora – mi chiedono - se non ho alcun merito e demerito a proposito, che cosa posso fare, sempre che io debba fare qualcosa. Che colpa ne ho io? Un’altra parola grande, difficile, personale, delicata, infinita. Per questo non la chiamerò “colpa”. La chiamerò “responsabilità”.  Per poter fare un passo in avanti dobbiamo prima diventare consapevoli che il privilegio esista. E anche la consapevolezza, pur essendo conditio sine qua non, non basta. Per fare qualcosa dobbiamo fare conti con le nostre paure. La paura che, tirando la coperta dell’inclusione di qua e di là, noi come persone rimarremo scoperte e private da quelle protezioni che il privilegio ci dava nel passato e che noi vedevamo come il nostro inalienabile diritto. La storia ci ha insegnato che l’inclusione non è una coperta con dimensioni definite e imposte dalla nostra esperienza di vita, bensì infinita. Che noi abbiamo l’opportunità e quindi la responsabilità di tessere con tutte le nostre forze quel pezzo in più di questa coperta che darà il confort della sicurezza a chi non ce l’aveva fino a ieri. Mi vengono in mente le parole di Francis Scott Fitzgerald: «Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. “Quando ti viene voglia di criticare qualcuno – mi disse – ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu”».
Oggi sei una persona adulta e conosci il mondo in modo molto più sfaccettato rispetto alla gioventù. Oggi hai forse ricordi delle situazioni che hai vissuto in cui tu eri quella persona che per un motivo o altro non godeva del privilegio del mondo creato attorno a te, e ti chiedevi perché. 
Perché chi aveva il potere di fare qualcosa ha scelto di non fare alcunché. O non abbastanza. L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che le persone buone non facciano nulla.
La volontà di fare, di agire, di prendere posizione anche laddove un osservatore disattento non ne vedrebbe un motivo, fa la differenza. Fa di noi persone alleate. Fa di noi coloro che nella piena consapevolezza dell’inequità del mondo in cui viviamo decidono di dare la propria voce e la propria visibilità a chi non ce l’ha. Siamo persone responsabili per quest’inequità? Forse la domanda migliore è “Che cosa possiamo fare oggi per correggerla?”.  Non possiamo trovare la risposta solo guardandoci allo specchio. Non è facile capire il nostro privilegio solo attraverso il nostro riflesso. Dobbiamo guardare attorno a noi e voler vedere. Dobbiamo ascoltare e voler sentire. Confrontare le due visioni e riflettere cercando di capire perché talvolta sono così diverse. Capiremo alla fine che la vera e unica bellezza del privilegio sta nella condivisione, quando la parola stessa perde ogni significato perché diventa un diritto per tutte le persone. 

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