Ritratto di dama in abito da caccia
Fluide vertigini intorno a “Orlando” di Virginia Woolf
Alla genealogia della fluidità alcune opere d’arte hanno anticipato i tempi e le percezioni, anche in epoche in cui l’omosessualità era bandita, rimossa e criminalizzata. Era l’anno di grazia di Nostro Signore 1928, quando Virginia Woolf dette alle stampe nella pudibonda e omofoba Inghilterra presso la sua raffinata Hogarth Press Orlando, con in copertina, in nitido bianco e nero, un gentiluomo in armi con spada snudata e uno scudo con scene di caccia.
Quella che è stata definita: “la più lunga lettera d’amore al mondo” è la sua opera più felice. Già dal titolo esprime la necessità di esplorare il mondo in tutte le sue meno prevedibili rifrazioni, al di fuori della comfort zone delle più consuete relazioni sociali.
È una trama personale di amori sotto falso nome, in una sequenza strepitosa di travestimenti, connessi in primo luogo alla protagonista, Vita Sackville-West amatissima da Virginia. All’epoca del loro incontro Vita era da tempo un bestseller, e un personaggio assai noto per le sue eccentricità nella High Society. Oggi poche delle sue opere sono ancora in circolazione.
Dama dell’aristocrazia, dal portamento regale e dalla lingua aguzza, amava gli abiti di velluto da caccia e i travestimenti clamorosi da caballero, in omaggio alla sua favolosa bis nonna “flamenquera” Paquita a cui dedicò un appassionato libro, del 1937, noto da noi come Malagueña. Memorie di una ballerina. L’anno prima di Orlando Vita aveva pubblicato Incomparable Astraea,magnifico saggio dedicato da Vita alla drammaturga e romanziera barocca Aphra Behn, figura clamorosa di ribelle delle lettere che senz’altro risuona in alcuni capitoli di Orlando.
La dimensione principale della aristocratica dama era d’altra parte il giardino, quel paradiso domestico di Sissinghurst, mantenuto in vita dagli “scellinatori”, che pagavano appunto quell’atteso obolo per visitare la tenuta e i suoi giardini.
La scrittrice vi si dedicava maniacalmente: i fiori erano personaggi delle sue pagine, come il magnifico poema The Garden (da poco edito da Elliot). La bella signora, che come molti britannici si recava a Parigi con frequenza per poter vivere alla sua maniera, là poteva indossare alfine con libertà i desiderati abiti maschili.
Ella aveva da sempre un ménage con Harold Nicholson, diplomatico, che come molti altri nella rigida e soffocante High Society inglese, favoriva quella relazione che - con un termine rubato a Henry James - veniva definita un “Boston marriage”, ossia una relazione tra due persone omosessuali che metteva a tacere gli attacchi di una comunità pettegola quanto violenta.
Orlando, come Tiresia, ha il talento di mutare di sesso nel corso dei secoli e il sottotitolo del volume A Biography vuole definire la definizione di una nuova persona che sfidi le appartenenze di genere. Sullo sfondo c’è anche un’altra signora mirabile, Violet Trefusis, figlia illegittima del re Edoardo VII, che visse nel jet-set con la formidabile madre buona parte della sua esistenza.
A lei spetta il ruolo della infedele principessa Sasha, fascinosa e mutevole, che promette eterno amore al paggio della regina Elisabetta I, per poi fuggire verso il suo lontano reame di Moscovia. Vita e Violet avevano celebrato il loro amore, prima che Virginia entrasse nel quadro. Madame Trefusis, che visse per buona parte della sua esistenza sulle colline fiorentine, alla magnifica dimora dell’Ombrellino, a Bellosguardo ebbe relazioni con entrambe. La sua versione del tumultuoso affaire è in Broderie anglaise, scritto in francese tra il 1939 e il 1945, in cui rivisita gli eventi dal suo pungente punto di vista. Le epoche si susseguono in Orlando per celebrare un unico amore, che avvolge il narratore e il narrato in un nastro rosso fuoco di passione. Ariostesca è la tensione della storia, come denota il titolo che allude scherzosamente a trame cavalleresche, finché nella nuova identità femminile Orlando troverà il successo con il poema a cui attende da tutta la sua lunghissima vita, La quercia, che reca un titolo che sarebbe perfetto per numerose opere di Vita Sackville West. Lo scandalo nel 1928 mancò perché madama Woolf stemperò i risvolti più pungenti, favorendo la féerie e l’incantamento.
Sullo sfondo divampava intanto il clamore travolgente de Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall, uscito quasi in contemporanea a Orlando, in cui l’omosessualità era dichiarata come un grido di rivolta. Per l’autrice, e per la sua compagna, Lady Una Troubridge, fu l’ostracismo e l’esilio in Italia, a Sirmione. Nel fascinoso film di Sally Potter (1992) una scena illustra chiaramente la vertigine dei sensi che Orlando ha pionieristicamente raccontato. Quentin Crisp, icona gay britannica, autore del notevolissimo A Naked Civil Servant, celebrato da Sting in An Englishman in New York, interpreta la regina Elisabetta I, di fronte a Tilda Swinton, in veste di melanconico vagheggino, con Jimmy Somerville che intona su toni acutissimi una melodia in veste di anfelo. La fluidità, un trentennio addietro non era nominata in questi termini, ma la regista britannica ne ha offerto un’icona. Non per caso oggi molte sono nel mondo le associazioni o i festival che si intitolano al personaggio del romanzo di Virginia Woolf.