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RAGAZZI - Drammaturgia di Lucio Guarinoni, 2018

A cura di Elena Gatti
01 Mar 2019

I classici racchiudono mondi, storie e personaggi complessi, costruiti con sapienza e intelligenza. Si possono rivisitare, come spesso si fa a scuola, leggendoli e commentandoli passo dopo passo. Oppure riviverli al cinema o a teatro.

Il nostro tempo, così frantumato e confuso, ha bisogno di trovare nella dimensione artistica (nell’arte figurativa, nel cinema, nella fotografia, nel teatro...) spazi che sappiano mostrare nuovi possibili sguardi sulla realtà. Devono saper raccontare al pubblico punti di vista capaci di far aprire gli occhi sul mondo, ma ancor di più farci ragionare e modificare la nostra vita quotidiana.

Dentro ai classici stanno le nostre radici, un patrimonio che ci ha plasmato e in cui inconsciamente ci muoviamo e riconosciamo. Perché questi tornino a parlarci, bisogna avere la forza di provare ad entrare in loro, spezzarli in alcuni punti per provare, novelli esploratori (magari con una torcia in testa a illuminare il cammino) a ri-raccontarli.

Cosa narra l’Iliade? Storie di Eroi e di Uomini Eroi. Ma esistono ancora uomini eroi, il nostro tempo ne ha ancora bisogno? Il loro mito sopravvive nelle guerre, nelle discriminazioni, nel caos.

In “Ragazzi”, lo spettacolo andato in scena a Bergamo (a cura della Compagnia Figli Maschi) al Teatro Qoelet il 5 aprile e in replica il 9 giugno 2018, la scrittura drammaturgica di Lucio Guarinoni apre sulla storia di due grandi amici: Achille e Patroclo, così legati fra loro da arrivare a morire (stupidamente) per salvare la propria dignità di eroi.

Ma lo spettacolo racconta altro: in quello spazio di pausa, lontano dalla battaglia, che Omero mette a disposizione di Achille, Lucio Guarinoni spalanca i ricordi di un’amicizia coltivata e amata.

I due, Achille e Patroclo, sono cresciuti insieme, hanno giocato da bambini e poi da adolescenti uno accanto all’altro, hanno avuto una vita comune prima che la guerra arrivasse. Guarinoni trasporta i racconti della loro esistenza nella contemporaneità: i due fumano, vanno in bicicletta, ascoltano musica dalla radio; sono nostri vicini di casa, sono ragazzi. Achille è forte, con natali illustri a sorreggerlo, Patroclo è più grande ma impacciato, il mondo intorno incombe e il giogo del ruolo da eroi da rispettare ricade continuamente sulle loro teste senza che riescano a liberarsene. E, così, partono per Troia e la guerra.

Qui lo spettacolo segue le orme classiche del racconto di Omero e il piè veloce si richiude nella sua tenda a causa della tensione con Agamennone.

Patroclo, prigioniero dell’ira del figlio di Teti, è libero di girare nel campo di battaglia, ma torna sempre da Achille e porta racconti di guerra; lì, insieme, non possono che ripercorrere il passato. Nei ricordi la balbuzie di Patroclo, di cui soffre fin da bambino, torna, poiché sotto le mura di Troia alcune parole non si possono pronunciare. Parole che hanno a che fare con desideri di una vita lontana. Parole che parlano di fragilità. Parole d’amore e d’amicizia.

Patroclo torna a ricordare le lettere e le poesie che scriveva ad Achille, dove nascondeva un bisogno di contatto, di umanità capace di aprire la strada a una vita da costruire insieme per tentare di diventare adulti. E Achille, ancora una volta, finge di deriderlo per quel vezzo che i forti esibiscono, nascondendo il desiderio e (l’immenso) bisogno d’affetto. Le parole di nuovo cadono senza sbocco, e a Patroclo non resta che vagare tra i cadaveri e vedere da vicino la morte dei compagni. Capisce che non c’è spazio per i sogni e s’immola per salvare l’idea di eroe che da sempre li perseguita. Va sul campo di battaglia e con tragica ironia indossa la mascherina nera - che fu di Zorro e di Paperinik. A sottolineare l’inutilità del gesto.

E muore. In battaglia.

Cosa resta? Resta il suo corpo, che Achille ha imparato a riconoscere.

Negli occhi di chi ha partecipato allo spettacolo, invece rimangono i giochi e le speranze di Achille e Patroclo bambini, i desideri, la voglia di vivere. Da questi si può ricominciare, abbandonare gli stereotipi, pensarli adulti e non eroi. Achille e Patroclo vivi e felici, magari innamorati fra loro o di qualcun altro ma liberi di scegliere, protagonisti di una società che non li schiacci in discriminazioni, ruoli, guerre. Giacomo Arrigoni, Pietro Betelli, Enrico Broggini, Flavio Panteghini, Giorgio Cassina, Marco Trussardi, Elia Zanella, abitano la scena con presenza fisica notevole, danno risalto a semplici scenografie che nelle loro mani si trasformano in case accoglienti o armi da guerra, grazie a coralità di movimento sorretta da una ricerca vocale attenta e curata. Sapientemente, come nella miglior tradizione di spettacolo popolare, la scrittura drammaturgica si arricchisce di siparietti comici: per due volte sulla scena appare la tenutaria di un salone di bellezza alla francese. Non è forse vero che è proprio dalla parrucchiera che si scoprono prelibati pettegolezzi, si leggono aggiornati tabloid, si raccontano gli ultimi gossip? E appare anche Teti, in veste di aristocratica radical chic con tanto di bodyguard.

Sarebbe auspicabile lo spettacolo tornasse sul palco, magari in cartellone per le Scuole Superiori. Così ragazze e ragazzi potrebbero godere di un’opera ispirata al più classico dei Classici narrata in chiave contemporanea che molto ha da dire alla voglia, fortemente loro, di crescere e condividere amicizie e relazioni.

ELENA GATTI, 1961, Scuola d’arte drammatica Milano, è organizzatrice teatrale e operatrice culturale

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