PRINCIPESSA BIANCA E BIONDA, NO GRAZIE!
La bella Angelica, personaggio che già appare nell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, viene ripresa da Ludovico Ariosto che la pone prima come premio e poi come oggetto della ricerca di numerosi paladini di Carlo Magno e guerrieri mori all’interno dell’Orlando Furioso. Angelica arriva in Europa dall’Oriente, è nota infatti per essere la principessa del Catai e gli studiosi ancora dibattono per definire se Ariosto si riferisca a “Cataio”, una città dell’India, oppure all’antico nome della Cina settentrionale, che già troviamo secoli prima ne Il Milione di Marco Polo.
È a questo punto della spiegazione che una mia studentessa cinese alza la mano e interviene con una domanda molto pertinente: “Prof., ma se Angelica è cinese o al massimo indiana… perché l’immagine del libro la raffigura bionda e con gli occhi azzurri?”.
Angelica non viene mai descritta nei suoi tratti somatici, ma solo il fatto di essere considerata attraente dalla maggior parte dei personaggi dell’opera di cui fa parte, le garantisce una corsia preferenziale verso il canone estetico occidentale, in un’ottica tutta classicista della concezione della bellezza. Già nel XVI secolo, Johann Joachim Winckelmann, il primo grande storico dell’arte classica, affermava che l’ideale di bellezza da seguire nelle opere d’arte fosse quello dell’antica Grecia: proporzioni del corpo perfette sormontate da un viso occidentale, il tutto forgiato nel marmo bianco. La conseguenza di queste teorie si è tradotta, con il passare dei secoli, in rappresentazioni canoniche della bellezza femminile, tanto che Angelica non rappresenta l’eccezione, bensì la regola nell’universo delle donne bianche, bionde e con gli occhi chiari dell’arte.
Si potrebbe obiettare che le raffigurazioni di cui stiamo parlando appartengono a secoli fa (anche se nulla toglie che i libri di testo potrebbero impiegare degli illustratori per essere più inclusivi) oppure che, in assenza di una descrizione delle caratteristiche fisiche del personaggio e senza i particolari della sua storia, non possiamo sapere esattamente i tratti somatici di Angelica. Vi è un altro esempio, però, dove invece la descrizione è approfondita, ma la rappresentazione non corrisponde a ciò che si legge: si tratta di Clorinda, comandante delle truppe musulmane del re Aladino della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso.
Come si evince dai canti dell’opera in cui è protagonista, Clorinda è una principessa etiope nata con la pelle bianca: la madre cristiana “ingravida fra tanto, ed espon fuori […] candida figlia. Si turba; e de gli insoliti colori, […] ha meraviglia” (G.L. XII) e affida la bambina a un servo che la crescerà nella fede islamica e la terrà con sé come una figlia. Clorinda, fin da piccola, è attratta dalle armi e dalla guerra, infatti, una volta cresciuta, indosserà la sua armatura e l’elmo decorato con una tigre. Clorinda combatte con una forza tale che nessuno dell’esercito cristiano sospetta che sia una donna, finché in uno scontro contro Tancredi “Ferirsi a le visiere, e i tronchi in alto volato e parte nuda ella ne resta; ché rotti i lacci a l’elmo suo […] ei le balzò di testa; e le chiome dorate al vento sparse, giovane donna in mezzo ‘l campo apparse” (G.L. III). Clorinda ha la pelle candida e i capelli biondi, ma è una donna africana, è una donna albina.
Quando la mia studentessa ha portato alla luce la questione delle origini di Angelica ho subito pensato a che ruolo importante possano avere questi due personaggi, e chissà quanti altri, nella rappresentazione delle diverse identità che si possono trovare in una classe di Scuola secondaria di primo o di secondo grado.
Mi piacerebbe che i libri di testo si interrogassero su queste tematiche che purtroppo vengono considerate ancora marginali e proponessero una nuova iconografia di quei personaggi della letteratura che nei secoli hanno subito un whitewashing. Vorrei che la mia studentessa si sentisse rappresentata da Angelica e da una nuova concezione della bellezza capace di accettare una principessa dagli occhi allungati; vorrei che Clorinda fosse raffigurata come una ragazza albina della piccola tribù Karo, presente ancora oggi nel sud dell’Etiopia, in modo da spingere i ragazzi a parlare dell’inclusione e della ricchezza culturale di un continente, l’Africa, troppo spesso posto ai margini. Vorrei dare la possibilità a queste figure femminili della letteratura di insegnarci che il concetto di bellezza non dovrebbe mai fondarsi su un canone, ma accogliere ogni tipo di diversità.