Pretty privilege: quando l’apparenza diventa un privilegio
In un mondo dove l’apparenza conta spesso più della sostanza, il cosiddetto pretty privilege (privilegio della bellezza) gioca un ruolo significativo. Il termine si riferisce ai vantaggi sociali, professionali e persino economici che le persone considerate socialmente più attraenti - secondo certi standard diffusi dai media che definisco l’idea di bellezza - ricevono, spesso inconsciamente. Ma quanto conta davvero la bellezza nel nostro quotidiano e come questo privilegio incide sulle disuguaglianze sociali?
Lookism – anche l’occhio vuole la sua parte?
Il pretty privilege è evidente e tangibile in diversi ambiti della nostra vita, dalle relazioni interpersonali al mondo lavorativo. Ultimamente sono sempre di più gli studi che affrontano il fenomeno per spiegarne motivi e cause da un punto di vista psico-sociale. Tra questi, uno dei più importanti, condotto dalla American Psychological Association, ha rilevato che le persone percepite come attraenti vengono giudicate più competenti, intelligenti e affidabili, senza che vi sia alcuna prova che confermi queste supposte qualità. Infatti, è stato rilevato che a livello mentale, una persona bella e carina dà spesso una sensazione di ordine, pulizia e affidabilità. Si tratta di un vero e proprio meccanismo di pregiudizio cognitivo. Nel mondo lavorativo è un bias drammatico che favorisce le persone considerate belle esteticamente, le quali ricevono sempre maggiori opportunità professionali. Un’analisi condotta dalla University of Texas ha dimostrato che le persone considerate fisicamente attraenti guadagnano mediamente il 10-15% in più rispetto aɜ loro colleghɜ considerati meno attraenti - sempre secondo gli standard di cui sopra -. In molti settori, dall’ospitalità alle vendite, l’aspetto fisico può giocare un ruolo chiave nella decisione di assunzione o promozione, anche a parità di qualifiche. Inoltre, uno studio della Harvard University ha dimostrato che la foto sul Cv può pregiudicare il futuro: le persone ritenute visivamente più piacevoli hanno una probabilità del 20% maggiore di essere invitate a un colloquio di lavoro, soprattutto in settori dove la presenza visiva o il contatto con lɜ clienti è rilevante. Così, chi non rientra negli standard di bellezza tradizionali viene spesso sottovalutatǝ o esclusǝ dalle opportunità di carriera, perpetuando pregiudizi che ostacolano la meritocrazia. Questa forma di discriminazione legata all’aspetto fisico è detta “lookism”, una vera e propria forma di ingiustizia che contribuisce a mantenere e rafforzare disuguaglianze strutturali nel mondo del lavoro. Come si può superare? Sempre più spesso, le realtà più attente, come Serenis, per citarne una, hanno iniziato a chiedere esplicitamente di inviare il Cv senza foto. Questo perché i bias li abbiamo tuttɜ, e anche se li riconosciamo, sottrarvisi non è sempre semplice, così, escludere l’aspetto fisico nel momento in cui si valuta il percorso formativo e lavorativo di una persona, può essere una buona soluzione.
Il Beauty Bias
Attraverso la pubblicità, i film e i social media, siamo costantemente bombardatɜ da immagini di persone che incarnano standard di bellezza non realistici. I dati di uno studio di Dove del 2021 indicano che il 70% delle donne si sente sotto pressione per conformarsi a questi ideali estetici irraggiungibili, il che può avere conseguenze psicologiche devastanti, come la riduzione dell’autostima e l’aumento dei disturbi alimentari. Quindi, cosa accade? Che mentre chi beneficia di questo privilegio può godere di vantaggi evidenti, chi ne è esclusǝ affronta discriminazioni e difficoltà. Le persone che non rientrano negli standard estetici dominanti vengono spesso percepite come meno competenti, meno affidabili e persino meno degne di rispetto. Questo bias inconscio è conosciuto come “beauty bias”.
Abbiamo un problema di Grassofobia
Ma cos’è la bellezza? Chi ne ha definito i canoni? Nella tradizione filosofica, le riflessioni sul bello iniziano nell’antica Grecia, da Platone e Aristotele per poi riversarsi nell’Estetica – branca di studi della filosofia – dove alcuni dei più grandi contributi sono stati forniti da Walter Benjamin, Edmund Burke, Hume e molti altri studiosi. Alcuni pensano che la bellezza sia soggettiva, altri oggettiva, oppure un mix di entrambe le cose: una parte soggettiva legata al gusto personale, e una oggettiva, connessa alla percezione del reale che accomuna gli esseri umani. Insomma, il discorso è alquanto complesso, e i canoni variano con le epoche, le collocazioni geografiche, le evoluzioni antropologiche etc. Sicuramente, un concetto che aiuta a far chiarezza è quello di “conformità”. I corpi belli sono - per la società - i corpi conformi a certi standard. Da tutto questo macro insieme, vengono deliberatamente esclusi tutti i corpi considerati non conformi: deformi, con disabilità visibili, corpi grassi… Uno degli esempi più chiari ed evidenti di questa discriminazione è proprio la grassofobia, un pregiudizio diffuso contro chi non risponde ai canoni di magrezza, che subisce una condizione sociale di marginalizzazione. La grassofobia si manifesta in modo evidente nel mondo del lavoro e della sanità. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Obesity, le persone con corpi grassi hanno il 37% di probabilità in meno di essere assunte rispetto alle persone normopeso, a parità di competenze. La discriminazione verso i corpi grassi è radicata in stereotipi dannosi, come l’idea che la magrezza equivalga a salute e successo, mentre il grasso viene associato a pigrizia o mancanza di autocontrollo. Da qui, sorgono anche tutti i bias a livello lavorativo che lasciano preferire l’assunzione di persone magre. Inoltre, nella sanità, chi ha un corpo grasso spesso subisce trattamenti medici peggiori: molte condizioni di salute vengono ridotte a questioni di peso, ignorando sintomi che potrebbero avere tutt’altra origine. A livello contemporaneo, un grande contributo è stato dato da Dalila Bagnuli, attivista body positive che da tempo si occupa di divulgazione sul tema.
Vecchi problemi per nuove soluzioni
Questi tipi di pregiudizi alimentano insicurezze profonde e possono avere un impatto devastante sulla salute mentale e fisica delle persone che ne sono vittime. È innegabile: il pretty privilege crea uno scenario polarizzante. Da un lato, chi è avvantaggiatǝ può sentirsi costrettǝ a mantenere standard di bellezza che impongono pressione e stress. Dall’altro, chi non beneficia di tale privilegio può sviluppare insicurezze legate al proprio aspetto fisico. Come possiamo riconoscere e ridurre l’impatto del pretty privilege? La prima chiave è la consapevolezza. Identificare e smascherare i nostri pregiudizi estetici è fondamentale per costruire una società più equa e inclusiva. Promuovere modelli di bellezza diversi tra loro, stili originali e incoraggiare la rappresentazione di corpi considerati “non conformi” e concentrarci sull’autenticità e originalità delle persone può fare davvero la differenza. Le organizzazioni hanno un ruolo cruciale in questa sfida. Aziende come Aerie e Dove, che hanno lanciato campagne marketing senza ritocchi fotografici sui corpi, dimostrano come sia possibile promuovere un’immagine più realistica della bellezza, anzi, delle bellezze.