Play2Give, l'alleanza di un gol inclusivo

Rubrica DISABILITÀ
A cura di Valentina Tomirotti
18 Dic 2024

Play2Give include. Non lo fa per statuto, ma dal 2017 a Milano, di fatto, ogni sua azione, iniziativa e progetto è stata impostata sulla relazione tra esseri umani diversi tra loro a vari livelli attraverso il calcio: ad esempio, artistɜ hip hop famosɜ e di nicchia giocano contro ɜ fan per donare l’affitto del campo in iniziative solidali... Nel tempo, interagire in un campo di calcio con persone diverse tra loro ha rappresentato la prassi. L’inclusione per P2G è semplicemente questo: condividere in modo muscolare uno spazio per uno sport che, per un periodo limitato, ha reso tuttɜ esattamente uguali. Stessa divisa, stesse regole di gioco, stessa esultanza. Un presidente viandante, autore, regista televisivo e radiofonico con la vocazione della charity come Michele Michelazzo, non avrebbe potuto far altro che radunare a sé un manipolo di artistɜ, che stanchɜ delle partitelle tra amicɜ il martedì sera, aspiravano a qualcosa di più importante legato alla loro attività sportiva preferita. No movimento politico, no aspirazioni da Nobel per la pace alla Bob Geldof, semplicemente calcio giocato. Ed è quello che artistɜ come Shade, Eddy Veerus de Il Pagante, Strano de I Gemelli Di Versi, Lanz Khan, Ted Bee, l’autore Jacopo Et, il produttore Roofio, l’influencer Gianmarco Valenza, il giornalista sportivo Roberto Marchesi; insomma artistɜ main stream e di nicchia, hanno fatto iniziando a incontrarsi ogni martedì sera in un centro sportivo di Milano. Come ɜ bambinɜ non si sono fattɜ domande: hanno iniziato a giocare e basta. Giocare contro fan provenienti da tutto il Nord Italia per donare il prezzo del campo alle onlus locali e non, Tog, Sos villaggi dei Bambini, Più Unici Che Rari, Abio, per poi fare foto e chiacchiere davanti a una pizza nello stesso centro sportivo.
I talent di P2G non si sono chiestɜ “chi includiamo?” l’hanno fatto e basta: i/le rifugiati/e del st Ambroeus, i/le detenuti/e di San Vittore, gli/le psichiatrici/che della Nazionale Italiana psichiatrici e dell’associazione Isemprevivi di Milano, gli/le ipovedenti, le donne straniere di You Sport Social Club... L’inclusione è un concetto vario e variabile, può assumere connotazioni diverse a seconda di chi lo propone. I ragazzi e le ragazze di Play2Give semplicemente lo hanno prima vissuto e successivamente gli hanno dato un nome: charity inclusiva. Che tradotto significa: non importa chi tu sia, facciamo del bene insieme. Così la lista deɜ partecipanti attivɜ e volontarɜ al progetto è aumentata: dall’attore e creator Tommaso Cassissa, al calciatore creator JPata, al cabarettista Davide Calgaro, allo youtuber Nirkiop e moltɜ altrɜ... Bene insieme, partire dal “voi da noi” per arrivare al “noi da voi”: scuole, oratori, periferie, ospedali, ovunque non si potesse solo giocare ma anche parlare a platee più vaste, ascoltare i sogni della generazione z, farsene epigoni. Assemblee d’istituto in cui i talent del progetto hanno cercato a loro volta di farsi includere raccontando le loro storie, la loro vita, stimolare creatività e azioni in una categoria sociale, quella della gen z, troppo spesso relegata a uno spazio mentale angusto e distopico. Quarto Oggiaro, Gratosoglio, Calvairate, San Donato Milanese, San Giuliano... Sono solo alcuni dei quartieri della periferia milanese in cui i talent di Play2Give sono di casa. “Giochiamo male per fare del bene” è una frase che il rapper Shade ripete spesso nelle interviste quando si parla del progetto. Oggi si tende all’iperbole, un’azione semplice diventa epica grazie ai social. Qui l’inclusione “epica” diventa semplice perché fa stare bene chi la pratica. Non è eclatante, ma automatica perché arriva da quell’istinto che a volte in un essere umano prende il sopravvento su quello di sopravvivenza: aiutare chi ha bisogno attorno a me. I talent di Play2Give in questo laboratorio sociale costante hanno fatto di più, hanno iniziato a dire aɜ ragazzɜ della Gen Z “fallo con me, vieni a dare i pasti alle persone senza tetto a Opera San Francesco, diventa volontariǝ di Alatha che fornisce assistenza in strada” in una sorta di “Grande Fratello dei buoni” come sottolinea Michele Michelazzo: “un famoso e uno sconosciuto sono uguali in un gesto di solidarietà”. La condivisione di un gesto semplice non è forse la forma di inclusione più pura?

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